Aveva chiesto il fuoco dentro, se l’è ritrovato addosso. Ora Di Francesco ha bruciature diffuse, dolorosissime, e la prospettiva del licenziamento. Al Dall’Ara ha mostrato una delle versioni più molli e smarrite della Roma, capace di resuscitare chi aveva preso un solo punto su dodici e perdippiù senza gol all’attivo, il Bologna brillantemente ridisegnato da Inzaghi attraverso l’impiego del ventiduenne Calabresi, che proprio nella Roma è cresciuto, del ventitreenne Nagy, del recuperato Krejci e del diciannovenne Svanberg. Giovani incendiari a buon mercato.
Prima della partita avevo sentito Monchi spiegare a Sky che lui lavora da vent’anni nel calcio e che molti suoi acquisti criticati a settembre si sono rivelati azzeccati più avanti («e Di Francesco non è sotto osservazione», già). Ma questa Roma non ha settimane, giorni, ore, minuti da perdere: in Italia non si concedono crediti, né rate di tolleranza a nessuno, neppure a chi pochi mesi prima era giunto terzo in campionato e in semifinale di Champions.
Le ultime quattro uscite sono state invereconde anche perché – oramai è più di un sospetto – l’evidentissimo indebolimento del gruppo ha tolto certezze e quindi fiducia a tecnico e giocatori producendo sventure come quelle di San Siro (difesa a tre e sei novità in partenza), dell’Olimpico col Chievo (da 2-0 a 2-2, al 2-3 rischiato), di Madrid (ventinove conclusioni del Real verso la porta di Olsen) e, appunto, del Dall’Ara.
Le domande che ponemmo per primi senza ricevere le risposte attese, solo un bozzolo di parole monocordi, oggi sono ineludibili. Le riassumo in ordine sparso e ci metto dentro tutto: chi ha ispirato questa demolizione delle fondamenta tecniche? C’entra qualcosa il fatto che Pallotta, il quale si dichiara «totalmente disgustato» proprio come fece poco prima di cacciare Rudi Garcia, ha capito che non avrà lo stadio nuovo entro il Millennio? Come ha fatto Monchi a perdere Malcom dopo aver offerto quaranta milioni? Perché è stato venduto Strootman, leader riconosciuto dello spogliatoio, nei giorni in cui non era più possibile sostituirlo? Desiderava andar via? E non poteva essere trattenuto? Perché all’allenatore che aveva chiesto nell’ordine Mahrez, Berardi e Malcom, ovvero un simil-Salah, l’esterno d’attacco da strappi, è stato consegnato Nzonzi, un mediano? Da quale posto nel mondo riceve le indicazioni il ds? Da Boston, Londra (Franco Baldini, fin troppo attivo a distanza) oppure fa da sé in totale autonomia? Baldissoni, l’unico dirigente fisicamente presente, è pagato anche per prendersi un sacco di nomi per conto terzi? I tifosi come arriveranno fino a gennaio se le cose improvvisamente non miglioreranno? Pensano forse che l’eventuale sostituto di Di Francesco possa riuscire a invertire la rotta? Concludo: e se Eusebio dovesse essere cacciato, come si comporterebbe Monchi? Resterebbe al suo posto?
A pochi giorni dal derby la Roma brucia in ritiro (punitivo) mentre la Lazio si ciba di sé, ritrova Milinkovic e i gol di Immobile: in estate Lotito ha preferito la stabilità completando l’organico con Acerbi, Badelj, Correa e Berisha, non ancora impiegabile. La Lazio è più equilibrata e tecnicamente definita di questa Roma svuotata: deve soltanto imparare a giocare di meno sull’avversario, in altre parole le serve più coraggio. Perché possiede qualità e caratteri da quartieri europei. Prima del confronto con la Lazio, la Roma ospiterà il Frosinone che – così come fece il Parma – ha provato a ridurre la Juve di Ronaldo e Dybala ma nel finale ha subìto le pettinate del portoghese e di Bernardeschi: Allegri non cerca che i punti, non temendo seriamente il ritorno degli inseguitori nonostante i lampi del Napoli camaleontico di Ancelotti, e i punti ottiene: l’Inter sta acquisendo una maggiore consapevolezza di sé grazie a vittorie oltre il novantesimo, il Milan non ha ancora imparato a gestire le situazioni di vantaggio. Quello di sabato 29 sarà un derby particolare, il primo dopo 55 anni (o più correttamente 87) senza Giorgio Rossi, il massaggiatore, fratello e poi padre e poi nonno buono dello spogliatoio, l’uomo delle caramelle per i giornalisti conosciuti, la cordialità e l’ironia di Roma, un sorriso largo che adesso si può aprire solo dal cielo.