Quello di Paolo Condò è indubbiamente uno dei nomi più altisonanti alle orecchie di chi si interessa al giornalismo sportivo. Professionista dal 1981, Condò vanta infatti una lunga militanza tra le fila della Gazzetta dello Sport e da diversi anni è tra i volti principali di Sky. Proprio in questi giorni, tra l’altro, è uscito il suo libro “Un capitano”, biografia di Francesco Totti edita dalla Rizzoli, che ha permesso al noto giornalista di guadagnare ulteriori consensi, soprattutto tra i giovani. Condò ha rilasciato un’intervista in esclusiva a Soccermagazine parlando non solo della sua ultima creatura, ma anche di vari temi legati all’attualità del calcio italiano.
L’anno scorso si erano sollevate tante polemiche riguardanti il VAR nelle competizioni UEFA dopo il rigore non fischiato a Cuadrado in Juventus-Real Madrid e dopo l’arbitraggio di Arsenal-Milan. Quest’anno dopo l’espulsione di CR7 contro il Valencia si sono riaccese violentemente e, nelle scorse settimane, la UEFA ha annunciato l’introduzione del VAR nei prossimi anni (Champions League 2019 ed Europa League 2020). Secondo Lei come mai hanno aspettato così tanto per utilizzare questa tecnologia? “A quanto ne so io (e ho buone fonti), sul VAR si è scatenata una guerra “politica” tra FIFA e UEFA. Nel senso che il blitz della FIFA, che l’ha portato al Mondiale, non è piaciuto all’UEFA, che ha rimandato finché ha potuto. Ormai stava diventando antistorico. È possibile, ma è una mia supposizione, che su questa storia giri la futura presidenza della FIFA. Ceferin è molto ambizioso”.
Al termine di Juventus-Napoli, Giuseppe Marotta ha annunciato la conclusione del suo rapporto con i bianconeri alla fine di ottobre. Secondo Lei quali sono i reali motivi di questa separazione e che peso avrà sul futuro della squadra bianconera? “Non so quali siano i motivi della separazione tra la Juve e Marotta, ma è evidente che è successo un fatto traumatico. Si può certamente congedare un dirigente, anche di quel livello, per ringiovanire: ma lo si fa al termine di una stagione, non un mese dopo l’inizio di quella successiva”.
Lei che ha avuto l’onore di entrare tra i ricordi del Totti uomo, quali differenze e analogie crede che vedremo col tempo tra il Francesco calciatore e il Francesco dirigente? “Il Totti calciatore è stato così grande, e così coerente nella sua scelta di giocare tutta la carriera nella Roma, da impedire al Totti dirigente anche solo di sognare di raggiungere lo stesso livello. La Roma lo vuole utilizzare sostanzialmente da uomo immagine, lui vorrebbe una responsabilità da direttore tecnico (ma nel calcio moderno il direttore sportivo ha inglobato anche quel ruolo). Penso che troveranno una soluzione mediana”.
Probabilmente era già stato messo in conto l’alone mediatico sorto intorno alla citazione di altri personaggi nella biografia, ma non aveva temuto da subito la reazione di Baldini? “Io non temevo nessuna reazione, il problema semmai è di Totti, che ovviamente ha visto e approvato più volte il testo. In realtà la conclusione del discorso con Baldini è presentata in modo costruttivo. Si vede che non gli è bastato”.
In questi giorni si fa un gran parlare di un futuro approdo di Allan nella Nazionale italiana: Le sembra più una suggestione o una forzatura considerando la presenza di altri due brasiliani quali Jorginho ed Emerson? “Io ho da sempre una mia posizione sul tema, largamente minoritaria ma tant’è. Il sistema calcio ha sempre girato attorno a due poli: quello dei club, nei quali il mercato è aperto a tutto il mondo, e quello delle Nazionali, basate su atleti nati nel Paese che rappresentano (o comunque legati a quel Paese in caso di almeno un genitore italiano o di adozione). Non c’è nulla di sovranista in questa convinzione, tengo a precisarlo. Ma il calcio degli oriundi, per me, è il calcio in cui un giorno i Paesi più ricchi compreranno i giovani migliori per vincere il Mondiale grazie a loro (immaginiamo la forza economica del Qatar, per esempio). E l’idea che giocatori come Jorginho e Allan (o prima di loro Eder e altri) scelgano l’Italia perché il Brasile non li ha chiamati non mi piace”.
Lei è il giornalista che rappresenta l’Italia nella votazione del Pallone d’Oro. Crede che questo sia l’anno buono per spezzare finalmente l’egemonia Messi-Ronaldo? “È possibile, questo è stato un anno Mondiale. Nel 2006 vinse Cannavaro, nel 2010 avrebbero dovuto vincere Iniesta o Sneijder ma la platea troppo allargata (e quindi incompetente) votò Messi, nel 2014 la Germania non espresse un candidato forte, se non Neuer (e i portieri non vincono il PdO), e toccò a Ronaldo. Stavolta la Francia ha tanti potenziali vincitori, e questo potrebbe portare a una frammentazione del voto della quale approfitterebbero Modric o ancora Ronaldo. È tutto aperto”.