«Se bloccano lo stadio, me ne vado», si crucciava James Pallotta all’indomani dell’inchiesta che a giugno ha terremotato il progetto Tor di Valle, con l’arresto per corruzione del costruttore Luca Parnasi e dei vertici di Eurnova, la società a cui il patron giallorosso si era affidato fin dall’inizio per la controversa operazione calcistico-immobiliare. Quattro mesi dopo, il manager di Boston spera ancora di tenere in vita il progetto e in questi giorni ha riunito nella città americana lo stato maggiore delle sue società, Roma inclusa.
Un vertice d’emergenza per capire se e come rianimare un affare che, dopo la maxi-retata, sembrava finito definitivamente su un binario morto. Invece il Campidoglio di Virginia Raggi, dopo lo sgomento per l’indagine, che ha coinvolto anche alcuni grillini, ora valuta di proseguire, sempre se la ricognizione sugli atti amministrativi darà esito positivo. Daniele Frongia, ex vicesindaco ora assessore allo Sport, ha detto ieri che «ci sono delle verifiche in corso, ma da parte nostra è rimasta sempre la stessa intenzione, andiamo avanti e credo che già dalle prossime settimane ci saranno novità rilevanti».
Andare avanti, ma come? Pallotta, in zona Cesarini, è pronto a entrare in campo in prima persona, pur di mettere in salvo un progetto che potrebbe fruttare ai privati centinaia di milioni. Una sua società, Raptor, potrebbe allora rilevare le quote di Eurnova, magari in asse con una banca. Ieri l’agenzia Radiocor parlava dell’interessamento della Goldman Sachs o della Starwood, mentre in Italia, sempre secondo l’agenzia, ci sarebbero le ipotesi del gruppo Pizzarotti di Parma, del gruppo Gavio di Tortona e di Salini Impregilo. Ovviamente anche i nuovi vertici di Eurnova, nominati dopo lo tsunami giudiziario, sarebbero intenzionati ad aprire una corsia preferenziale ai soggetti riconducibili a Pallotta.
Un’eventuale acquisizione, in ogni caso, difficilmente verrebbe messa a segno prima del via libera dell’Assemblea capitolina alla maxi-variante urbanistica, il vero nodo dell’operazione, finito al centro dell’inchiesta giudiziaria. Perché il progetto, nonostante il taglio parziale alle cubature monstre voluto dai grillini, continua a sforare largamente i limiti del Piano regolatore. Serve insomma l’autorizzazione dell’Assemblea capitolina al nuovo impianto e soprattutto alle volumetrie dell’«Ecomostro», ormai dimezzato, di negozi, uffici e alberghi. Il vero core business dell’operazione.
I TEMPI E LE INSIDIE Il voto non avverrà prima di diversi mesi. Gli «stadisti» dicono dicembre, gli altri parlano del 2019 inoltrato. Prima dovrà arrivare in Comune la relazione del Politecnico di Torino, chiamato da Raggi ad analizzare le tante ombre sulla viabilità che senza il ponte, come ammettevano gli uomini di Parnasi nelle intercettazioni, porterebbe «al caos».
Il difficile sarà poi convincere i consiglieri grillini. Gli arresti per tangenti hanno dato forza alla pattuglia dei contrari. Perché se anche Eurnova abbandonasse l’operazione, la vendita delle quote a un altro soggetto dopo il sì alla variante urbanistica, rivaluterebbe non poco i terreni. Regalando una plusvalenza alla società di Parnasi, indagato per corruzione. Un “regalo” che tanti 5 Stelle difficilmente digerirebbero.