Sembra passato un secolo quando la Roma, per bocca di Eusebio Di Francesco (e non solo), invocava i gol dagli attaccanti. Doveva essere la rivoluzione (non culturale, quella è roba del 2011) per la nuova stagione, quella che sta si sta malinconicamente trascinando verso l’infinito e oltre. Perché nella passata annata aveva funzionato molto bene la difesa, mentre l’attacco aveva stentato e si era sostenuto quasi esclusivamente sulle spalle di Dzeko. Da lì l’esigenza. Quindi ecco Pastore (qualità, assist, gol), ecco Kluivert (gol), e poi c’era il nuovo Schick (gol e assist), più El Shaarawy (che il suo l’ha sempre fatto), Perotti (che doveva partite e invece è rimasto ma fino a ora non s’è mai visto) e Under (che alla seconda stagione raddoppierà la cifra gol). Invece, al momento, quella rivoluzione non è nemmeno partita. Siamo ancora all’ideologia. Perché oggi, almeno se guardiamo il campionato i dati sono ai limiti del deprimente. Se pensiamo che Petagna, o Santander, hanno segnato più di Dzeko viene da piangere (a Di Francesco e tutta la Roma). Il bomber della Roma è El Shaarawy che con i suoi tre gol ha staccato Schick, Kluivert e Perotti di tre gol, Under di due, Dzeko di uno. C’è un caso a parte per quanto riguarda il conto dei gol: Pastore. Che ha pure una buona media, due gol in sette presenze (solo una da novanta minuti). Due gol, tra l’altro, molto belli (con Atalanta e Frosinone). Più un assist. Tanto per fare un esempio, Milik, Mertens e Insigne sono a quota 18. L’attacco della Roma è rimasto indietro rispetto allo scorso anno, non è cresciuto come doveva: sarà per colpa del mancato arrivo di Malcom? Mah. Può darsi, ma non può essere solo quello il motivo. La Roma produce poco, a tratti, e quel poco non si tramuta in rete. Basti vedere le due occasioni capitate a Dzeko nei primi dieci minuti di Fiorentina-Roma. Ecco, metti dentro quei palloni e ci abbracciamo. Invece no, arriva il rigore ridicolo per i Viola e si spegne la luce. Buonanotte. Con un attacco capace di produrre sei reti (più le due di Pastore, che non contiamo) in undici partite, non si va da nessuna parte. Non si vincan le partite, diceva qualcuno che ora allena l’Inter.
SEDUTI IN PANCHINA – Ma poi, a Torino, prima giornata di campionato, quando abbiamo visto Kluivert entrare dalla panchine e determinare un risultato con una giocata, abbiamo subito pensato che il vento fosse cambiato. Invece, da quel giorno s’è rivisto poco. La partita di Firenze ha detto anche che Schick, lo stesso Kluivert, pur non essendo primi responsabili dei risultati negativi, forse potrebbero dare qualcosa di più. O meglio, tanti si aspettano qualcosa da loro: un cenno, una giocata, un respiro. Un gol, sia mai. E al Franchi in panchina c’era tanta roba a cui aggrapparsi: 170 milioni (bonus esclusi), dai 25 di Pastore, ai 30 di Cristante. Qualcosa di più si può fare, questo è sicuro.