La temuta crisi del settimo anno sta investendo la Roma e il suo presidente James Pallotta, stanco di assistere ai continui tracolli sportivi (classifica povera della squadra) e politici (stadio). Lo scorso 27 agosto l’imprenditore statunitense è entrato nel settimo anno di presidenza e il suo rapporto con Monchi & company sta vivendo una profonda crisi. Come detto, quello americano non è stato un periodo denso di soddisfazioni: zero titoli, sei allenatori, due direttori sportivi, decine di dirigenti (tra addetti al progetto stadio e marketing), centinaia di calciatori venduti e acquistati, milioni di plusvalenze, una finale di Coppa Italia persa contro la Lazio e, per lui al primo posto, un progetto stadio che fatica a imporsi. A questo va aggiunto l’addio al calcio – tra le polemiche – di Francesco Totti, che ha reso Pallotta (assieme a Spalletti) l’artefice di un congedo giudicato per qualcuno prematuro e per altri gestito in maniera troppo superficiale e approssimativa. Vanno ricordate anche le sue dichiarazioni infelici, che non lo hanno reso uno dei presidenti più amati della storia: dai «Fucking idiots» indirizzato ai tifosi della Curva Sud colpevoli di aver esposto uno striscione contro la madre di Ciro Esposito nel 2015, alle retromarce dopo alcune dichiarazioni scomode.
IPOTESI DI ADDIO – Da uomo-business, Pallotta ha sempre delegato la gestione del club a persone giudicate universalmente competenti: prima Sabatini e adesso Monchi hanno avuto un’enorme responsabilità non solo nell’acquistare calciatori, ma anche nel decidere la guida tecnica. Non avendo conoscenze profonde di calcio, Pallotta non può far altro che fidarsi, ma è esattamente questa componente che sta venendo meno (l’unico collaboratore di cui si fida oggi è il consulente Baldini): dopo il disastro di Cagliari il presidente ha pensato seriamente di passare la mano, di dire basta con la Roma, di tirarsi fuori il più presto possibile da un business che potrebbe creargli solo problemi. Rabbia comprensibile, figlia anche di una passione che con gli anni è emersa, lo ha coinvolto e si è consolidata con la semifinale di Champions, ma che difficilmente lo farà andare oltre il pareggio di bilancio: Pallotta non sarà mai il presidente che comprerà Batistuta, Emerson e Samuel per scucire lo Scudetto alla Lazio. Fino ad oggi il patron ha gestito la Roma, ma per scongiurare la crisi del settimo anno è forse arrivata l’ora di essere più presente e magari tentare una pazzia. Andando oltre i conti.