Salvare il Flaminio? Basterebbero 8 milioni. Che il gioiello di viale Tiziano versi in condizioni umilianti per la città e l’amministrazione è noto da anni. Ora la Federcalcio di Carlo Tavecchio sta valutando l’idea di chiedere l’assegnazione della struttura per farne la “casa” delle nazionali giovanili e femminili. Consapevole, come già ai tempi di Abete, di essere l’unica federazione capace di sostenere i costi di una riqualificazione. Ma di che cifra si parla? Dal 2013 nei cassetti del Comune di Roma esiste uno studio di fattibilità, commissionato da Risorse per Roma, che lo spiega: un dossier con indagini strutturali sulle condizioni di calcestruzzo e cemento armato (commissionata a Istedil) e l’elaborazione di ipotesi progettuali per la riqualificazione. Un lavoro da 40mila euro, ancora sostanzialmente attuale. E che divide le spese necessarie in tre standard qualitativi Il primo, indica solo gli interventi indispensabili per riaprire le porte dello stadio ai tifosi: 8 milioni di euro e lo stadio prenderà vita. Soldi necessari per il ripristino delle strutture devastate dal tempo e dall’incuria (in una lettera del 20 maggio 2014 il Coni interrompeva le utenze per pulizia, manutenzione del verde, manutenzione tecnologica e antincendio, oltre a quelle idriche e energetiche). Serve intervenire con una nuova impermeabilizzazione del cemento armato, il ripristino del sistema di deflusso delle acque, del sistema elettrico, oltre ai dettagli: la cosiddetta “vernice” (seggiolini, lampadine). Spese utili per riaprire lo stadio, con la capienza massima attuale, non più di 20/22 mila posti. Il problema sono i costi di gestione: per mantenere l’impianto servono 1,5 milioni all’anno.
Il Flaminio però non è solo un campo e quattro tribune. Ha un ventre ricco di palestre per la boxe, sale da scherma, piscina. Per ripristinare l’utilizzo delle aree che contengono questi spazi, renderle agibili e magari farle rendere incrementandole con aree wellness e fitness (che aiuterebbero a coprire i costi gestionali) occorrono altri 11 milioni, oltre agli 8 di partenza. Insomma, con 19 milioni la struttura tornerebbe a poter offrire servizi 7 giorni su 7 .
Ma a uno stadio moderno si chiede di produrre utili, di generare un flusso di cassa. Per questo lo studio di fattibilità prevede anche un terzo standard. Studiato sul progetto realizzato dall’ingegnere Saverio Mandetta, con l’architetto Mauro Schiavone, consulenti tecnici, sportivi e gestionali. Un progetto (depositato alla Siae) che ridisegna l’idea del Flaminio senza alterarne la struttura (su questo, la fondazione Nervi che ha i diritti intellettuali dell’opera è inflessibile). Con 45-50 milioni – sostenuti da un project financing con base di ammortamento a lunghissima scadenza – si può creare uno stadio in grado di generare utili: aree esterne di supporto, già previste dal piano urbanistico di Roma, per attività commerciali. Sviluppati al di sotto di un piano rialzato, da destinare al verde e ai percorsi di accesso allo stadio (adeguati alle norme attuali), in modo da separare i tifosi dagli spazi destinati a uffici e attività culturali. Senza ovviamente tradire la destinazione d’uso, sportivo e culturale, dello stadio: non supermercati, ma musei e sale concerti che possano integrare l’attività dell’Auditorium adiacente. E poi parcheggi sotterranei a vista sulla necropoli romana, affiorata durante i lavori del 2008 e ancora “nascosta”, utili pure come punto di scambio per il centro. Interventi per rendere la struttura ecocompatibile e sostenibile finanziariamente. Più o meno, quello che ha in testa la Figc di Tavecchio.