Jim Pallotta magari avrebbe agito con largo anticipo, perché si è convinto da un bel po’ che Di Francesco non abbia (più) grandi soluzioni da proporre. La stagione è largamente compromessa e rischia di diventare irrecuperabile, ma i possibili sostituiti prendibili, da Montella a Paulo Sousa, da Blanc a Donadoni, convincono e non convincono. Ma la soluzione esonero diventerà necessaria se domenica sera la Roma dovesse raccogliere un’altra figuraccia con il Genoa e questa decisione, secondo Pallotta, spetta a Monchi. Ma l’umore del presidente è nero, i conti non gli tornano: la squadra quest’anno costa più di quella dell’anno scorso (sono aumentati i giocatori, quindi gli ingaggi, e la valutazione di alcuni elementi ora è calata) e rischia di non andare in Champions. A Trigoria non c’è gran voglia di prendere decisioni devastanti, poi davanti alla necessità tutto cambia. Monchi, come noto, ha difeso Di Francesco pubblicamente e davanti al presidente, sempre più spazientito, e vuole aspettare. Il viaggio verso il presidente è fissato subito dopo la sfida con il Genoa, quindi in quella occasione verranno prese le decisioni definitive/drastiche. Per ora la squadra prova a ricompattarsi. Il ritiro a tempo indeterminato non solo non ha funzionato, ma di fatto non è esistito: la squadra non lo voleva prima ed è stata felice che dopo Plzen si sia deciso di annullarlo. I ritiri non servono quasi mai, ma questa è stata una presa di posizione farsesca. L’abolizione del ritiro è l’ultimo tentativo per riprendere confidenza con il gruppo, forse, è provare a non stressarlo ulteriormente con clausure, appunto, inutili.
FARSA E STRESS – Di Francesco ha perso la serenità, si vede dallo sguardo, dalle cose che dice. Le sue sono parole molto dure e dirette nei confronti dei giocatori (e ha perso un bel pezzo di squadra, ormai), dal minaccioso (e doveroso) «farò tante valutazioni», a « non ho avuto risposte che avrei voluto». Traspare come il rapporto con i calciatori, o alcuni di loro, non sia eccezionale. Ora poi, non ci sono nemmeno i veterani, molti di loro fermi ai box, che potrebbero dargli una mano. Ma questi sono tutti problemi del momento, che probabilmente Eusebio non riesce a sistemare. Poi sono evidenti criticità un po’ più strutturali, figlie di scelte tecniche-societarie non adeguate. La politica dei giovani può pure funzionare, ma l’impiego in massa dei ragazzi porta poco lontano. Perché il giovane, per natura, è incostante e caratterialmente meno definito. Noi non sappiamo cosa diventeranno Schick e Kluivert (due esempi) tra qualche anno, magari due fuoriclasse, ma in questo momento danno poco e non ci sono grosse alternative. E la Roma per loro ha strainvestito. Mancano i leader, le guide.
LE OPERAZIONI DI MERCATO – La scelta di Pastore è stata quantomeno azzardata, per i costi, per l’età e per la sua fragilità fisica. Marcano, dopo Moreno, è la dimostrazione che non si riesca a trovare un difensore centrale utile per dare fiato ai titolari. Per non parlare poi di Karsdorp, in quasi due anni 4 presenze. Quattro. Alla squadra manca lo spirito, la personalità, il senso di appartenenza, che Di Francesco aveva da giocatore e che ha provato a ripristinare da allenatore. Lo scorso anno la Roma ha vissuto il sogno Champions. Quella squadra non c’è più e quella di adesso forse si sente di passaggio. Addio senso di appartenenza. Addio sogni. E avanti un altro.