Campanilistico per scelta e per natura, il mondo del pallone italiano naturalmente si è spaccato davanti alla tragedia e al razzismo. E ha dato la forma a due fazioni: da un lato quella degli allenatori che ritengono giusto fermare la partita e promettono di ritirare la propria squadra se dal pubblico piovessero ancora cori discriminatori; e dall’altro la corrente formata da chi, nonostante tutto, si guarderà bene dal richiamare la propria squadra o dal bloccare la gara. Vale la pena di ricordare che Carlo Ancelotti, l’allenatore del Napoli, già mercoledì sera dopo la sfida contro l’Inter aveva annunciato: «La prossima volta ci fermiamo». Complice il turno di campionato che si giocherà oggi per intero, i diversi tecnici della Serie A hanno sfruttato il palcoscenico offerto dalle consuete conferenze stampa per esprimere il loro pensiero. «Se lo Stato non interviene, è giusto che un segnale arrivi dal campo. Io sto con Ancelotti. Il calcio può fare tanto e un segnale è fermarsi. Le squadre non devono accettare determinati cori e situazioni», ha spiegato Eusebio Di Francesco, l’allenatore della Roma. Ecco Simone Inzaghi, poi, il tecnico della Lazio: «Fermarci può essere una soluzione da affrontare in futuro», ha dettato, seguito dal fratello Filippo, ora alla guida del Bologna: «È ora di finirla e farli finire. Bisognerebbe parlare di calcio. Non possono esistere al giorno d’oggi i buu razzisti». Più prudente (e quindi equivocabile), a pensarci, è apparsa la posizione di Gennaro Gattuso, il tecnico del Milan: «L’Italia non è un paese razzista. Non è stato tutto lo stadio a fare quei cori. Questi episodi purtroppo non si vedono solo da noi. Se 50 mila persone applaudissero sopra quei quattro imbecilli, i cori razzisti non si sentirebbero. Non diamo martellate all’Italia, in altri paesi civili ho visto lanciare banane». È comunque appena il caso di annotare, a margine, che l’11 maggio del 2014, a Bergamo, alcuni tifosi dell’Atalanta lanciarono proprio una banana in campo verso il milanista Kevin Constant, che protestava con l’assistente di linea.
IL VERSANTE OPPOSTO – Sul versante opposto, ecco spuntare il profilo di Max Allegri, l’allenatore della Juventus. «Non dobbiamo fermare il campionato. E solo l’ordine pubblico può sospendere la partita. Io non tollero nessuna forma di razzismo e insulto nei confronti anche di morti e tragedie. Purtroppo abbiamo perso educazione e rispetto. Per migliorare dobbiamo entrare dove ci sono i bambini piccoli: entrare nelle scuole farebbe bene perché su 100, magari 70/80 li instradi bene. Io sono per andare avanti, il problema va risolto a monte. La tecnologia negli stadi può andare a prendere chi fa casino», ha spiegato. Netto è stato Gian Piero Gasperini, il tecnico dell’Atalanta: che addirittura ha bollato la proposta con il termine stupidata. «L’idea di sospendere le partite e mandare le persone a casa è una grandissima stupidata. Chiudere gli stadi è una decisione che mi costerna. Non è il modo di prendere provvedimenti. Tutto quello che è contro il calcio a me fa male ma farci passare per paese razzista sarebbe un errore». E anche Walter Mazzarri del Torino ha un pensiero simile: «Certi comportamenti vanno puniti con fermezza. Sul razzismo bisogna essere intransigenti. È un discorso sociale, bisogna partire educando i bimbi a scuola. Molti portano le frustrazioni della vita dentro lo stadio: ci sono delle regole, ma purtroppo non si applicano». E Luciano Spalletti dell’Inter? «Fermare la gara per gli ululati? È già successo, ora bisogna fare qualcosa di più. Sono dispiaciuto per la squalifica dello stadio Meazza, ma se significa impegnarsi per vincere la battaglia la accettiamo volentieri». Infine l’ex ct azzurro Cesare Prandelli, adesso tecnico del Genoa: «C’è grande amarezza. La gente deve indignarsi per questi fenomeni di razzismo e violenza. Dovesse accadere a me andrei ad abbracciare il calciatore vittima di questi insulti razziali. I buu sono un episodio grave ma l’Italia non è razzista», ha concluso.