Famolo. Fatelo. Lo facciano. La persona è relativa. A questo punto (ma anche a quello di partenza, in situazioni normali) conta il verbo. Fare. Lo Stadio della Roma è da fare. Senza se e senza ma: tutti quelli possibili – e perfino gli altri surreali – sono già stati disseminati dagli ostacolatori di professione. Salvo essere sistematicamente soverchiati da un progetto che ha già attraversato tre giunte comunali di differente colore (più una gestione commissariale). Con tutte le modifiche del caso. Ottenendo sempre approvazione. Perché al di là delle resistenze pregiudiziali e strumentali, non c’è una sola ragione per cui non debba essere realizzato. Che sia un’opportunità più unica che rara per la città, è ormai di dominio pubblico. Come sono più che noti i vantaggi che ne deriverebbero, per tutti: dalla creazione di nuovi posti di lavoro, alla crescita del Pil regionale, alla riqualificazione di un intero quadrante attualmente in balìa del nulla (parlando per eufemismi, perché da quelle parti regnano degrado architettonico, incuria ambientale e discariche a cielo aperto). Tutto a costo zero per le casse pubbliche. Queste le considerazioni sul tessuto urbano.
Ne esistono di differenti, che chi ha a cuore le sorti della squadra della Capitale dovrebbe avere ancora più chiare. Possibilmente cercando di evitare le trappole tese da chi è invece storicamente ostile. Fateci caso: sono loro i veri oppositori dell’opera. Ci provano con ogni mezzo – mediatico, politico, metapolitico – a contrastarne la realizzazione. Perché sanno bene che il nuovo stadio equivarrebbe a una crescita esponenziale, in ogni ambito. Come dimostrano tutte le esperienze simili, prima fra tutte quella juventina, che guarda caso vive il periodo più florido di una storia già ultravincente da quando dispone dell’impianto di proprietà. Lo suggerisce anche il più banale dei sillogismi: maggiori introiti moltiplicano i fatturati, che aumentano disponibilità, che arricchiscono la squadra. La nostra in questo caso. La Roma.
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