Patron della Spes Montesacro, la vita di Alberto Aquilani ricomincia dove era cominciata.
Aquilani, la dobbiamo chiamare presidente? «Beh, in effetti ora che sono invecchiato…».
E la carriera da calciatore? «Non ho messo ancora un punto. Ho rescisso con Las Palmas e dopo tanti anni sono tornato a Roma, ho girato molto e sta nascendo una nuova vita: ho altre aspettative e altre priorità. Mi sento ancora atleta, quindi mi alleno. Ma non voglio giocare tanto per farlo. Deve essere un qualcosa che mi stimoli».
Da dove è nato l’impulso di acquistare la Spes? «Dico la verità: non avevo intenzione di comprare una società. La Spes Montesacro è una scelta affettiva, perché ho acquistato il club che mi ha dato l’opportunità di sognare e di avere tutto quello che ho oggi. Lì ho cominciato e quando il mio amico Alessio Peciarolo mi ha chiamato parlandomi di questa possibilità ho sentito il dovere di fare qualcosa. Nonostante l’ottimo lavoro dell’ex presidente Di Clemente, mi sono sentito di doverla prendere e cercare di trasmettere la mia esperienza ai più giovani».
Sarà un presidente presente? «Vorrei essere una figura di riferimento per i giovani e per i genitori, per dar loro qualsiasi aiuto. Cercherò di trasmettere le mie idee agli allenatori, di portare un’etica e proverò a far capire che ci sono le regole. Voglio che la Spes diventi una società modello».
Il primo valore da trasmettere ai giovani? «Il divertimento. Vorrei che venissero al campo con il sorriso a 100 denti, non a 36. Fare il calciatore è complicato, ma visto che io ci sono passato e ho avuto la fortuna di partire dalla Spes facendo una carriera importante, perché non possono farcela loro?».
Le piacerebbe lavorare con Bruno Conti? «Magari. Se vuole. Per noi di quegli anni è stata una figura importantissima: ci coccolava, ci voleva bene e ci aiutava. Credo, però, che quelle generazioni non esistano più, noi vivevamo di pane e calcio, oggi magari il ragazzino ha molte più distrazioni. Il mondo va più veloce e mi piacerebbe far capire ai giovani che tutto parte dai campi di terra dove ho cominciato io. Le generazioni sono cambiate perché mentre io non vedevo l’ora di andare a fare l’allenamento, con pioggia o neve, adesso li vedo più comodi a casa a giocare alla Play Station o sui social. Vorrei riportare quella voglia di andare al campo e di essere contenti».
Quando aveva 15 anni a casa sua si presentò il Chelsea e lei rifiutò. Un giovane oggi cosa farebbe? «È sempre molto soggettivo, il Chelsea non è l’ultima squadra arrivata quindi non è possibile dirlo perché dipende da tanti fattori. A me fecero una proposta incredibile…».
Però ha avuto la forza di restare a Roma. «È vero, ho continuato nella Roma perché ero ben voluto da tutti e mi allenavo in prima squadra. Se magari a Trigoria non mi fossi trovato bene, avrei potuto pensare di andare».
Quanto ha inciso suo padre nella carriera? «È stato fondamentale. Ma il genitore oggi può esserlo al contrario: dando consigli sbagliati».
Come si cambia questa mentalità? «Vorrei parlare con i genitori e i ragazzi e dirgli che io ci sono passato e che mi devono ascoltare. Chi non si diverte a giocare a pallone è meglio che stia a casa. La tecnica deve sempre prevalere rispetto al fisico, devi migliorare le basi perché poi ne beneficeranno le prime squadre. A parole è semplice, ma farlo è molto complicato. Io prendo una scuola calcio a cui sono affezionato e il mio obiettivo sarà questo. Rifarò il campo, darò l’opportunità ai giovani di stare più comodi, di allenarsi in condizioni perfette e metterò la mia esperienza al loro servizio».
È in cantiere una partnership tra la Spes e la Roma? «Ancora non ne ho parlato con nessuno, ma ne discuterò».
Totti cosa le ha detto di questa nuova avventura? «Con lui parliamo poco di lavoro e tanto di altre cose. Sicuramente gli chiederò qualche consiglio, ma lui per me è un amico».
Che tecnico è Di Francesco, visto che l’ha allenata? «Per lui ho solo parole positive: è una persona seria, un allenatore competente che insegna calcio. È l’uomo giusto per far crescere la Roma. Non scordiamoci che sono sempre i giocatori ad andare in campo».
Come ha vissuto la cessione al Liverpool? «È stato un duro colpo perché mi sentivo un figlio di Roma, pensavo di non andare mai via e non avrei mai immaginato di giocare in una squadra che non era la Roma. Oggi posso dire che è stato un motivo di orgoglio giocare in club importanti. Ho conosciuto tante culture calcistiche e umane e mi sono fatto un bagaglio di esperienze molto grande. Lì per lì per la mia famiglia non è stato facile, ma la vita è fatta di scelte».
Dà più brividi l’Olimpico o Anfield? «Io sono cresciuto con Roma e prima del derby è qualcosa da brividi, ma non nascondo che il clima di un Liverpool-Manchester United non è da meno».
Dal Liverpool alla Juve… «È un club per professionisti seri, dove c’è una forte mentalità e dove bisogna vincere. È stato un orgoglio vestire la loro maglia e oggi è la squadra più forte».
Da presidente a presidente: cosa consiglierebbe a Pallotta per migliorare la sua gestione? «Sono stato a Trigoria venti giorni fa e all’Olimpico per Roma-Real Madrid e Roma-Sassuolo. Ho trovato una società cambiata, un livello altissimo, è diventata di una bellezza impressionante. Io che ho girato i grandi club dico che non ha nulla da invidiare a nessuno. A Trigoria stanno facendo un grande lavoro, ma purtroppo si viene giudicati per i risultati».
È vero che farà il corso di allenatore? «Sì, perché mi piace imparare cose nuove ed è una cosa a cui posso ambire. In testa ho un’idea di calcio precisa e vedremo se sarò in grado a trasmetterla».
A quale tecnico si ispira? «A De Zerbi del Sassuolo».