La doppia abnegazione può diventare facilmente affermazione. Di appartenenza, identità, romanismo. La storia personale di Florenzi non avrebbe avuto bisogno del duplice sacrificio fra infortunio e successivi interventi chirurgici per attestarlo. Eppure a un certo punto qualcosa ha deragliato dal verso giusto nel rapporto fra Alessandro e la sua gente. Sbocciato nel modo migliore, quando da Capitano della Primavera scudettata ha compiuto il grande salto in prima squadra, richiamato a furor di popolo dopo una strepitosa parentesi a Crotone.
E proprio quel popolo che ne aveva richiesto a gran voce il ritorno lo ha acclamato da subito. Conquistato da quel ragazzo dedito a corsa e sacrificio, ma non per questo con piedi da gregario. Capace anzi di trovare numeri di alta scuola grazie a capacità aerobiche e balistiche fuori dall’ordinario. Tanto da mettere d’accordo tutti o quasi. «Undici Florenzi», il coro dedicato all’epoca di quel coast-to-coast concluso con botta sotto la traversa nel finale di una partita contro il Genoa, quando la squadra arrancava e lui aveva ancora la forza di sradicare palloni e bruciare l’intero campo. E ancora sforbiciate, tiri dalla metà campo, una serie di gol uno più bello dell’altro e un abbraccio alla nonna in tribuna a sdoganare l’ultima frontiera delle esultanze e a proseguire un’operazione simpatia che in quel momento sembrava in ascesa inarrestabile. (…9
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