Sarà perché il famoso romanzo di Cervantes, connazionale del direttore sportivo della Roma, Ramon Verdejo Rodriguez, ispira il gioco di parole, sarà perché oltre all’assonanza non si può non riconoscere coerenza a un uomo come Monchi, che il credito internazionale se l’è tutto guadagnato sul campo a Siviglia, sarà perché questa sua direzione è stata per certi versi ostinata e contraria da quando è arrivato nella Capitale.
Un dato è certo: quella del ds della Roma appare davvero una battaglia contro i mulini a vento, se è sotto gli occhi di tutti (specialmente dopo i dodici gol subiti in tre partite, una vinta, una pareggiata e una strapersa), anche del più feroce sostenitore di Di Francesco, che al di là dei discorsi tattici e tecnici bisogna fare qualcosa. Perché Eusebio non è riuscito a curarla questa squadra, né ha dato mai dimostrazione di esser convinto che fosse davvero guarita. Ma Monchi-Don Chisciotte è andato avanti.
Fosse anche un sogno matto, perché ha chiarito, il ds, che il suo destino non è legato a quello di Di Francesco: «Resterò a lungo alla Roma», ha detto ultimamente anche per mettere a tacere le voci di offerte dall’estero. Ci crede ancora. Forse è il solo, ma non è questo un buon motivo per decidere di mollare. È stato lui a scegliere Eusebio Di Francesco come guida tecnica della Roma, essendosene innamorato ai tempi del Sassuolo quando ancora la squadra giallorossa non era nei suoi programmi né nei suoi sogni.(…)
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