Questa mattina presso la sede dell’Istituto per il Credito Sportivo è stato presentato ‘Donne di Calcio’, l’ebook di Alley Oop – L’altra metà del Sole, il blog multifirma del Sole 24 Ore dedicato alla diversity. Alla presentazione ha preso parte anche il Vice Presidente esecutivo della Roma Mauro Baldissoni.
All’interno dell’ebook è presente un’intervista a Mia Hamm, membro del CDA giallorosso e due volte campionessa del mondo da calciatrice con gli Stati Uniti, che vi riproponiamo.
Da molti viene considerata la più grande calciatrice di tutti i tempi. Classe 1972, Mia Hamm è nata a Selma, in Alabama, e dall’ottobre del 2014 fa parte del consiglio di amministrazione dell’AS Roma, fortemente voluta dal presidente James Pallotta. Non viene spesso in Italia. Lo ha fatto in occasione della sfida di Champions League, allo Stadio Olimpico, tra Roma e Real Madrid, nella stessa settimana in cui, nel campionato femminile, era in programma la sfida tra le giallorosse e il Milan di Carolina Morace.
Tra i due impegni, Mia Hamm ha voluto assistere a un allenamento delle ragazze di Betty Bavagnoli, al Centro Giulio Onesti. Le giallorosse sono entrate alla spicciolata nel campo di allenamento e si sono recate a stringere la mano al “Mito”. Prima di iniziare la sessione, la statunitense ha anche rivolto loro alcune parole: “sono contenta di potervi seguire nel corso dell’allenamento e di venire a vedervi giocare. Se poi battete Carolina Morace, sarò ancora più contenta”. Non è andata proprio così visto che le rossonere si sono imposte, in rimonta, per due reti a una. Però, come si legge sull’account Twitter dell’AS Roma, l’esperienza è stata una di quelle che non si dimenticano facilmente: “Oggi ci siamo allenate sotto gli occhi di una leggenda”.
Mia Hamm non era presente ma anche la presentazione della squadra, alla vigilia dell’inizio del primo campionato a cui partecipa la Roma, è stato un vero e proprio appuntamento in stile hollywoodiano. Nel pieno centro della Capitale, a Piazza di Spagna, le calciatrici sono scese una a una dalla scalinata di Trinità di Monti per mano a un collega del settore maschile.
Per prendere parte alla nuova stagione della serie A, la Società di James Pallotta ha acquisito il titolo della Res Roma, che già militava nella massima serie. “Attendevo da tempo questo ingresso. È stata una grande notizia non solo per la Roma ma per l’intero movimento del calcio femminile italiano” aveva dichiarato la consigliera all’indomani dell’annuncio ufficiale, proseguendo poi: “Negli ultimi cinque anni il movimento si è molto evoluto in Europa e il campionato italiano sta diventando sempre più competitivo. A Roma i giovani hanno sempre sognato di fare lo stesso percorso di Francesco Totti. Da oggi anche le ragazze potranno fare lo stesso”.
Di ruolo attaccante, Mia Hamm ha collezionato dal 1987 al 2004, anno del suo ritiro, 275 presenze in partite ufficiali con 158 gol realizzati. Da piccola ha iniziato a tirare i primi calci a un pallone proprio in Italia. Il padre Bill, colonnello dell’Air Force e tifoso della Fiorentina, era infatti stato trasferito a Firenze quando Mia aveva solo un anno. Rientrata negli Stati Uniti, a quindici anni, viene subito notata dall’allenatore della Nazionale statunitense Anson Dorrance. Quello stesso anno debutta nella nazionale a stelle e strisce, diventando la più giovane giocatrice ad aver mai indossato la maglia della rappresentativa statunitense.
Nei frequenti trasferimenti della famiglia Hamm, per il lavoro del papà, è stato proprio il pallone ad aiutare la giovane Mia a integrarsi in ogni nuovo contesto. “Nella vita devi trovare la tua identità cercando di comprendere quali sono i tuoi punti forti e le tue caratteristiche. Io avevo buone caratteristiche atletiche, ero molto competitiva già da piccola ed era chiaro che riuscivo a essere molto concentrata sul calcio. Per questo ho sviluppato una chiara percezione delle mie possibilità e questo mi ha aiutata anche in altri ambiti della vita. Lo sport mi ha permesso di inserirmi più facilmente e velocemente ovunque”.
Negli Stati Uniti è diventata una vera e propria icona del soccer, come gli statunitensi chiamano il gioco del calcio. La sua silhouette è infatti impressa nello stemma della Women’s Professional Soccer, la lega professionistica che organizza il campionato femminile statunitense. Nike, tra i suoi sponsor così come Pepsi e Gatorade, le ha intitolato uno dei palazzi della sede di Beaverton. Stesso onore è toccato anche alla tennista Serena Williams. “Oggi vengono investite molte più risorse nel calcio femminile di quanto non si facesse ai miei tempi.
Negli Stati Uniti, per esempio, mi ricordo che guardavo in televisione la Coppa del Mondo del 1982 in Spagna e quella del 1986 in Messico commentate in lingua spagnola. Le ultime due edizioni maschili e l’ultima femminile del Mondiale sono invece state trasmesse da quattro o cinque canali nazionali di sport e da network internazionali. La visibilità per il pubblico è quindi aumentata e, di conseguenza, anche gli investimenti”.
Dal calcio giocato all’esperienza nel consiglio di amministrazione dell’AS Roma. “In riferimento alla guida di un team, penso che una delle cose che ho imparato sul campo è l’importanza di mettersi in ascolto, spesso le persone vogliono ascoltare prima se stesse e non va bene. La seconda cosa è creare un ambiente che rafforzi le persone intorno a te: devono capire che tu ti fidi di loro e che credi nelle loro potenzialità”.
Per Mia Hamm, vincitrice del FIFA World Player nel 2001 e nel 2002, ossia nelle prime due edizioni del riconoscimento internazionale, a fondamento di un cambiamento culturale c’è l’educazione. “Per far cambiare l’idea che il calcio sia uno sport prettamente maschile la cosa più importante è proprio questa.
Quando vai nelle scuole vedi sempre più ragazzine giocare a calcio, lo fanno per la gioia che dà loro. Non sono io che ho scelto il calcio né il calcio che ha scelto me, però io sentivo il mio cuore emozionarsi ogni volta che entravo in campo. Grazie al calcio ho potuto conoscere così tante culture e Paesi, aprire gli occhi sul mondo”.
Come alla capitana della Juventus Women e della Nazionale Italiana Sara Gama, la Mattel le ha dedicato una Barbie. “Più riusciamo a far capire alle persone che giocare a calcio è indipendente dal genere e più riusciremo ad avere collaborazione in ogni aspetto. Come donne dobbiamo comunque coinvolgere gli uomini, dobbiamo capire che senza di loro non possiamo farcela”.
Mia Hamm, che è una delle due donne presenti tra i migliori 125 calciatori al mondo, lista stilata in occasione del centenario della Fifa, insieme alla compagna di nazionale Michelle Akers, vede una crescita positiva anche in Italia. “In tanti ormai hanno compreso che pure un piccolo investimento ha un ritorno incredibile, non solo dal punto di vista finanziario ma di facility e di infrastrutture”.
Mia Hamm ha delle aspettative ben precise su cosa dovrebbe avvenire grazie al nuovo incremento dei finanziamenti per il calcio femminile, previsto dall’Uefa dal 2020: “Credo che vedremo crescere il numero delle calciatrici e anche aumentare la qualità del gioco, un po’ a tutto tondo: le strutture, il livello degli allenatori, la parte tecnico-tattica e fisica del gioco. Le nazioni che sono più avanti, faranno da traino e da punto di riferimento. I Paesi che sono rimasti, finora, ai margini innalzeranno il loro livello”.
La nazionale favorita alla prossima Coppa del Mondo, Francia 2019, non può che essere una: “Devo dire gli Stati Uniti. Stanno giocando molto bene. Però il livello si è alzato e c’è un bel gruppo di squadre che potrebbero fare bene. Questo è eccitante non solo per un’ex calciatrice ma anche per gli appassionati di questo sport.
Tra le squadre europee, terrei d’occhio l’Olanda, la Germania e l’Inghilterra, oltre alla Francia, il Paese ospitante, che sarà sicuramente molto sostenuta dal pubblico di casa”.
La più grande soddisfazione della statunitense, sposata due volte con tre figli e molto attiva anche nel sociale con la Mia Hamm Foundation creata dopo la morte del fratello adottivo per anemia aplastica, riguarda il movimento. “Come calciatrice la mia grande gioia è stata contribuire all’incremento delle donne che, negli anni successivi al mio addio al campo, si sono dedicate agli sport di squadra. Prima molte si cimentavano solo nelle discipline individuali, come l’atletica leggera”.