Quattrocentododici partite dopo, la Partita. Almeno per Antonio Mirante. Perché sarà d’accordo pure lui che martedì sera, contro il Porto, primo atto dell’ottavo di finale di Champions League, per il ragazzo cresciutello di Castellamare di Stabia, nato (8 luglio 1983) quando da queste parti stavamo ancora per le strade a fare festa per un secondo scudetto atteso quarantuno anni, saranno i novanta minuti più importanti della sua più che dignitosa carriera.
Non sarà proprio l’esordio nella coppa delle grandi orecchie, ma non c’è neppure da fare il paragone con la prima volta, Repubblica Ceca, campo del Viktoria Plzen, partita che contava meno di zero, oltretutto pure persa dai giallorossa.
No, stavolta sarà tutta un’altra storia. Il due metri vichingo è fermo in infermeria, un problemino muscolare al polpaccio, le voci di dentro, unanimi, fanno sapere che per Olsen la Champions è da rimandare alla partita di ritorno in Portogallo. E allora tocca ad Antonio Mirante, un’esperienza alle spalle che dovrebbe escludere attacchi di tachicardia, il dodicesimo, come si diceva una volta, chiamato a vestire i panni del protagonista.
Il ragazzo cresciutello ha le spalle larghe per affrontare la questione. Come ha fatto venerdì sera a Verona contro il Chievo, pur nella consapevolezza che un conto è giocare contro l’ultima del nostro campionato, un altro scendere in campo in un Olimpico con oltre cinquantamila spettatori, in una partita da dentro o fuori. (…)
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