Nel pomeriggio di ieri Damiano Tommasi è stato protagonista di un incontro intitolato “Razzismo e business: il calcio è malato?” presso il centro culturale “Moby Dick” alla Garbatella. Tanto il calore per l’ex giallorosso, che ha dovuto addirittura interrompere più volte il suo discorso per foto e autografi. Tra i temi trattati dal presidente dell’AssoCalciatori anche quello del rapporto tra giocatori e media: «Sentivo i giornalisti commentare le responsabilità di Zaniolo che, essendo arrivato a quel livello, secondo loro doveva essere preparato ad affrontare le telecamere. Si ragiona come con un politico: finché sei un politico locale fai come vuoi, se sei parlamentare come sbagli una virgola ti fanno nero. La differenza è l’età: in politica, come in quasi tutti i mestieri, si diventa importanti a 40-50 anni, i calciatori spesso a 20 anni o anche meno. Se non c’è formazione non si riesce a stare a certi livelli e si viene caricati di responsabilità che vanno oltre il proprio lavoro. Si accetta qualsiasi tweet e qualsiasi parola di ogni politico e non si perdona a un giovane di 20 anni anche una piccola cosa. Si ha la percezione che i calciatori siano lavoratori statali, ma sono professionisti stipendiati da un’azienda privata per giocare a pallone».
“L’unica risposta è il campo” Il presidente dell’Aic è poi tornato sull’argomento parlando con Il Romanista al termine dell’evento: «Ad altissimi livelli di mediaticità ogni virgola viene enfatizzata, fa parte della crescita veloce che bisogna fare per convivere con queste dinamiche. La cosa più importante, non solo per Zaniolo ma per i giovani che si affacciano al professionismo, è far bene in mezzo al campo. È l’unica risposta che devono dare: meno si pensa a fuori dal campo e più si entra nelle dinamiche di squadra e meglio è. Ha la fortuna di avere un allenatore come Di Francesco che ha un profilo mediatico più basso rispetto ad altri e questo lo aiuta a vivere con naturalezza eventuali errori ed eventuali alti e bassi che potranno esserci nella carriera di un giocatore. La generazione di Zaniolo vive la mediaticità diversamente da come l’abbiamo vissuta noi. Quando ero giovane io erano i primi anni delle tv, un altro tipo di mediaticità che si scontrava con la generazione precedenti. Sono fasi della vita che fa bene a vivere fino in fondo, ma l’importante è la concentrazione in campo. Se ne accorgerà durante la carriera: alla fine ciò che interessa alla gente è ciò che succede in mezzo al campo, se si fa bene quello nessuno va a commentare quello che accade fuori».
Durante l’iniziativa, introdotta da Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII, e condotta da Giulio Marcone e Gioacchino De Chirico, Tommasi ha detto la sua sugli episodi di razzismo nel calcio: «L’educazione», ha sostenuto il numero uno dell’Aic, «prima che dai giocatori deve venire dalle famiglie, dal calcio di base. Io, da genitore, non posso cambiare ciò che fanno i tifosi a San Siro, ma posso cambiare ciò che fanno i tifosi alla partita di mio figlio. Il cambiamento deve partire dal basso».
L’intervento di Tommasi Il calcio è malato? Tradisce le sue intenzioni originarie per colpa del business? “In Italia il calcio, il mondo del business e quello televisivo soffrono di comportamenti e abitudini che lo rendono almeno all’apparenza malato. Ma sono tante le sfaccettature del movimento calcistico, che è indiscutibilmente importante per la nostra società. Ad esempio, quando c’è stato lo sgombero al Cara di Castelnuovo di Porto alcuni ragazzi giocavano a calcio, era una forma di integrazione. Il calcio è come la scuola. E ha regole universali, questo è il bello dello sport. Il calcio fa dialogare nonostante si giochi senza parlare. Questa funzione non la perderà mai e ciò mi fa essere ottimista per il futuro. Poi c’è il tema dell’essere genitore e di avere una cultura sportiva: questo è un tema importante soprattutto per le istituzioni. Alla ricerca delle possibilità di diventare campioni si perde la concezione dell’importanza di uno spogliatoio e degli insegnamenti del pallone. (…)
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