Cacciare o confermare un allenatore in base al risultato secco di una partita significa non aver saputo gestire una spinosa situazione che si trascina, tra alti e bassi, da parecchi mesi. Non c’era bisogno di arrivare a un ultimatum per stabilire il futuro dell’allenatore della Roma. ma questa è la situazione reale, dato che nessuno, a Trigoria e dintorni, si è premurato di smentire le voci, le notizie che vanno in questa direzione dalla fine del derby. Fosse stato vero il contrario, qualcuno avrebbe urlato ai quattro venti che quanto riportato da giornali, radio, tv e siti internet non era vero; che Eusebio Di Francesco, nonostante tutto, continua a essere al riparo da cattive sorprese. Invece niente. La maniera peggiore per preparare una sfida delicatissima come quella di Oporto..
Se la Roma va fuori dalla Champions, si cambia. Non conta più come, ma adesso conta solo se: se va fuori, via l’allenatore. Come unico capro espiatorio, con buona pace di tutti gli altri colpevoli. E, molto probabilmente, via anche il direttore sportivo. Anche se per una sua scelta, anticipando nei tempi una mossa già decisa alla fine dello scorso dicembre.
E così, tra un’ipotesi e l’altra legata al nome del nuovo allenatore, la partita contro il Porto arriva quasi in sordina. Come se l’appuntamento al Do Dragao non fosse la cosa più importante in casa Roma. Al punto che sono molti – oltre il recinto del Bernardini – coloro che si augurano che la Roma stasera venga eliminata dalla Champions pur di non vedere più Di Francesco (pronto a tutto, confidano…) sulla panchina giallorossa. In realtà, oggi il primo pensiero di tutti – anche all’interno del recinto del Bernardini – dovrebbe essere la Roma. Non il suo allenatore o qualsiasi altro stipendiato da Jim Pallotta. Fin quando si continuerà a pensare al singolo, e soltanto al problema singolo, non si arriverà mai a una soluzione ottimale. Non lo diciamo noi, ma la recente storia della Roma.