Una società nascosta che diventa la cassaforte dove accumulare tangenti. Gli incontri segreti per pianificare il prossimo affare, «lì non va bene, ci vedono tutti». Imprenditori disposti a pagare, tanto, per spingere, a prescindere dalle contestazioni di un pezzo di maggioranza, le pratiche urbanistiche più delicate della Capitale. Da Luca Parnasi ai fratelli Pierluigi e Claudio Toti, fino a Giuseppe Statuto. Politici avidi, e la corruzione che diventa sistemica: un «format replicabile», un «campo da gioco calpestato», indistintamente, da pubblici ufficiali e privati.
Un’altra bufera si è abbattuta sul Campidoglio ieri all’alba, quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma si sono presentati a casa del presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito, volto forte del M5S, per notificargli un’ordinanza d’arresto per corruzione e traffico di influenze illecite. De Vito finisce in carcere insieme al suo socio, l’avvocato Camillo Mezzacapo, collettore delle mazzette fatte passare per consulenze: un giro da quasi 400mila euro, tra soldi promessi ed erogati.
IL MANIFESTO – Le loro conversazioni intercettate diventano un manifesto programmatico che per il gip è «desolante»: i cinquestelle alla guida di Roma e del Paese sono una «congiunzione astrale favorevole», da sfruttare per massimizzare i profitti. Era Mezzacapo che Parnasi, i Toti e Statuto – tutti e quattro indagati – pagavano per assicurarsi affari milionari. Almeno tre grandi appalti, oltre allo Stadio di Tor di Valle: la realizzazione di un albergo nell’ex stazione di Trastevere, la trasformazione della zona della vecchia Fiera di Roma in una città dello sport e la riqualificazione degli ex Mercati generali, sulla via Ostiense.
L’ASSESSORE – Ai domiciliari sono finiti Fortunato Pititto, architetto del gruppo Statuto, e Gianluca Bardelli, amico di De Vito e Mezzacapo, titolare di una concessionaria dove i due si incontravano in gran segreto. Perquisiti il Comune e gli uffici di Acea. Ma non è finita. L’inchiesta sfiora l’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori: la sua capo segreteria, Gabriella Raggi, è indagata per corruzione, mentre lui è stato ascoltato ieri dai pm come persona informata sui fatti.
Per l’aggiunto Paolo Ielo, i contratti di consulenza mascherano tangenti. E nel copione ci sono pure prestanome – come l’avvocato Virginia Vecchiarelli, un’emissario di Mezzacapo, indagata -, fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio, evasioni fiscali. La nuova inchiesta delle pm Barbara Zuin e Luigia Spinelli, parte dall’imprenditore Parnasi, già imputato per le tangenti legate alla realizzazione dello stadio a Tor di Valle. Con De Vito puntava ad aumentare il suo raggio d’influenza.
E il politico, nonostante l’arresto dell’imprenditore, ha continuato a curare interessi privati. Usando con Mezzacapo solo qualche accortezza: parlare meno al telefono, dirottare parte dei guadagni sui conti della società Mdl srl, riconducibile a entrambi. Tutto parte dalle ammissioni di Parnasi che davanti ai pm ha raccontato come fosse riuscito a creare «un sistema ampissimo di relazioni», De Vito continuamente «alla ricerca di conoscenze interessate ai favori che è in grado di procurare» replica il sistema. È Parnasi a metterlo in contatto con i fratelli Toti.
LE REAZIONI – L’ennesimo terremoto che travolge la giunta pentastellata scuote il Movimento. Non passa nemmeno un’ora dalla notizia dell’arresto, che interviene il vicepremier Luigi Di Maio: De Vito espulso dai Cinquestelle con effetto immediato. Non ci sono mezzi termini nelle parole del ministro: «Vergognoso, moralmente basso». Una decisione che ottiene il plauso del premier Conte e del ministro Bonafede. Intanto il Pd torna a chiedere le dimissioni della sindaca, mentre la Lega parla di «brutto colpo per Roma».