La variante urbanistica che Marcello De Vito avrebbe dovuto mettere ai voti in Assemblea capitolina, «tempo due mesi» dicevano fino all’altro ieri in Campidoglio, avrebbe concesso ai privati 670mila metri cubi per negozi, uffici e alberghi. Il doppio di quanto scritto nel Piano regolatore, che a Tor di Valle prevedeva un’area di «verde pubblico attrezzato», insomma un parco a tema o qualcosa di simile. Certo non un nuovo quartiere con palazzine alte fino a sette piani, il vero core business dell’operazione calcistico-immobiliare, in cui lo stadio è solo la testa di ponte di un affare infinitamente più grosso: «L’impianto sportivo? Appena il 20% delle cubature totali», ha calcolato il Tavolo della Libera Urbanistica, formato in buona parte da ex attivisti grillini, usciti dal Movimento dopo la capriola di Raggi sul progetto di Parnasi.
Col varo dell’ultima delibera, con tanto di variante allegata, sparirebbero definitivamente alcune opere giudicate fondamentali dai tecnici per evitare che tutto il quadrante Sud di Roma vada in tilt. Addio prolungamento della metro B – sbianchettato dal progetto nel 2016 – e addio anche al Ponte di Traiano, decisivo per scongiurare gli ingorghi. Quel collegamento sul Tevere lo avrebbero dovuto pagare i privati, almeno fino a due anni fa. Poi, quando il M5S ha sforbiciato parte delle volumetrie monstre (che però continuano a scavallare largamente i limiti del Piano regolatore), è rimasto scoperto, senza finanziamenti.
Se la variante passasse, si concretizzerebbe insomma quel rischio «catastrofe» ipotizzato solo poche settimane fa dai prof del Politecnico di Torino, chiamati da Raggi per fare chiarezza dopo la prima retata di arresti, quella di giugno 2018. Gli esperti hanno bollato come inutili tutte le opere pubbliche rimaste nel progetto: «Non sufficiente il massiccio rafforzamento dell’offerta dei trasporti pubblici», «non sufficiente l’unione della Via del Mare e della via Ostiense», «non sufficiente il ponte dei Congressi», peraltro pagato dallo Stato. Si eviterebbero gli imbottigliamenti a catena solo se cambiassero le «abitudini» dei romani, in tutta la città, se insomma si riuscisse a «contenere la mobilità privata», cioè l’uso delle automobili. Con tempi lunghissimi: fino a «10 anni», minimo tre, «se si vuole evitare un aggravio del traffico».
Va detto che dopo l’arresto di De Vito, molti grillini schiacciano sul freno. Soprattutto tra i consiglieri che dovrebbero votare la variante in Aula. In tanti sono ancora scettici o proprio contrari, del resto fino al 2016 tutto il Movimento – e lo stesso presidente arrestato ieri – parlava dell’opera come di una «speculazione» da fermare. Difficile, se non impossibile, che la pratica si chiuda entro un paio di mesi. Si prenderà tempo, come avvenuto dopo l’arresto di Parnasi e Lanzalone, quasi un anno fa. Tutto rinviato a dopo l’estate. Sperando che la burrasca giudiziaria si quieti un po’. E che non riservi altre sorprese.