Ultimo giorno di febbraio del 1990. Claudio Ranieri, 39 anni, allenatore emergente del calcio italiano, è alla guida del Cagliari appena portato dalla Serie C alla serie B e in procinto di salire in Serie A. In Sardegna tre anni solo di successi, prima del salto al Napoli. Lo raggiungiamo al Poetto, dove la squadra in quel periodo si allenava tra mille difficoltà (e su un campo di pozzolana…), per farci spiegare il suo calcio. Ranieri, terminato un allenamento molto ventoso (strano…), ci invita a salire sulla sua Volvo station vagon scura. «Ci andiamo a prendere un caffè e parliamo un po’?».
Perfetto. E così, intorno a un tavolino del bar dell’hotel Mediterraneo, Claudio cominciò a raccontare e a raccontarsi. Un’ora abbondante di calcio, di ricordi, di sogni, di ambizioni. Come riportato su Il Messaggero del primo marzo. Un’intervista da leggere con attenzione, anche ventinove anni (abbondanti) dopo. Eccola. «Il compito di un allenatore oggi è soprattutto quello di entrare in sintonia con i propri giocatori, conquistare la loro fiducia. Capirsi. I moduli tattici servono a poco se non c’è, rispetto, se non esiste un feeling che guidi il lavoro. Se i ragazzi si fidano di me, giocano esattamente come voglio io. In caso contrario, avviene l’opposto. La vera forza di un allenatore è avere ragazzi che credono in lui. E poi è fondamentale dare l’esempio. Di un allenatore conta solo il comportamento. Inutile bluffare, perché i giocatori sanno esattamente tutto di chi li guida. Ai ragazzi io dico sempre: voi pensate a divertirvi, lo stress lasciatelo a me. Tanto alla fine pagano soltanto gli allenatori. Ecco perché vado avanti con le mie idee. Come è tatticamente il mio calcio? Due punte sempre, difesa in linea a quattro, e spesso anche un libero dietro, marcature a uomo alternate a quelle a zona che è creativa e che fa emergere le qualità dei singoli».
PLAYMAKER E VIDEO MIX – «Voglio una squadra organizzata, che non faccia mai calcoli, che dia sempre il massimo. La nostra manovra offensiva chiama in causa tutta la squadra, portiere compreso. Per difendere è fondamentale capire prima se siamo, o meno, padroni della situazione. Ai miei ragazzi chiedo intelligenza, chiedo di sapersela sbrigare in qualsiasi situazione. Da ragazzo ho giocato a basket e sto cercando di portare nel calcio la figura del playmaker, che oggi non c’è. Cioè colui che chiama lo schema, che fa il gioco. Ma ogni calciatore deve diventare playmaker quando entra in possesso del pallone. E nessuno deve avere paura di sbagliare. L’importante è provarci, sempre. Il videoregistratore? Ne ho quattro, più una centralina per montare le immagini delle partite. Così preparo dei filmati che faccio vedere alla squadra, con gli errori e pure con le cose belle. Tutto serve». Tutto è servito, sir Claudio.
FONTE: Il Messaggero – M. Ferretti