Genova per lui una volta significò la fine di un sogno. Era l’allenatore della Roma, l’avventura desiderata per una vita, e l’anno prima aveva persino sfiorato l’immortalità andando vicinissimo a vincere un titolo che sarebbe stato clamoroso forse come quello che avrebbe vinto più tardi col Leicester.
Eppure quel giorno, nove mesi dopo quello scudetto lasciato all’Inter che trionfò giocando una partita in meno (quella con la Lazio, tristemente tornata ai disonori della cronaca in questi giorni), si arrese a un risultato davvero sorprendente, con il Genoa che andò sotto di tre reti e vinse poi di una, segnando quattro gol tra il 7′ e il 40′ del secondo tempo, con una difesa giallorossa tremebonda, a un certo punto rinforzata con un quinto uomo, Loria, inutilmente inserito al posto di un attaccante, Borriello.
Lui, Ranieri, il re della fase difensiva, fu incapace di arginare una grandinata di reti del Genoa di Ballardini, tra cui giocava un certo Criscito, in campo anche oggi pomeriggio (calcio d’inizio ore 18).
Salutò i suoi giocatori senza neanche rimproverarne uno, annunciò loro le sue dimissioni, tolse dall’imbarazzo Rosella Sensi, Montali e Pradè che avrebbero dovuto decidere magari il giorno dopo riguardo il suo futuro. Avrebbe potuto fare come fanno quasi tutti: aspettare l’esonero e incassare i soldi fino all’ultimo euro. Ma non sarebbe Ranieri. Con i soldi che ha guadagnato in ogni successiva avventura ha messo a posto diverse generazioni di nipotini, ma la signorilità non si compra al mercato. E anche stavolta, quando la Roma ha chiamato, non ha mai voluto affrontare direttamente la questione stipendio. (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco