Sembra quasi scritto nel suo destino, che Daniele De Rossi debba esordire con il tricolore cucito sul petto di quella maglia che è già una seconda pelle. Lo fa nel suo stadio, nella sua città, il 30 ottobre 2001 nella gara di Champions League contro l’Anderlecht: venti minuti al posto di Ivan Tomic.
Lo Scudetto sul lato destro, perché sul lato del cuore non può esserci altro che la Roma. È il suo destino, perché è nato con la Roma Campione d’Italia, il 24 luglio 1983, nel periodo più bello della nostra storia, e da Campione d’Italia deve essere battezzato.
Perché la Roma non si sceglie: la Roma è un destino, anzi, un Destino. Daniele lo sa fin da bambino, quando posa con la divisa della Barilla, caschetto biondo e sorriso smagliante di chi non potrebbe essere più felice di così.
Felice come quel 25 gennaio 2003, quando Capello lo fa esordire anche in Serie A, sul neutro di Piacenza: contro il Como, come Paulo Roberto Falcao. Gioca 90′, la Roma in emergenza perde 2-0, è una stagione a dir poco travagliata. Ma, come avrà modo di ricordare un Daniele ormai adulto molti anni più tardi: «Noi dobbiamo ringraziare di essere nati romanisti anche dopo i 7-1, anche dopo aver perso in casa contro il Napoli giocando male. Io ringrazio sempre di essere nato romanista».
Ci sono più cose in queste parole che in tutta la vostra filosofia, direbbe il più grande poeta del mondo.
Baci, vene e lacrime Il Daniele bambino, con quella maglia indosso, è felice quasi quanto il De Rossi diciannovenne che con una bordata di destro da fuori area segna il primo gol della sua carriera, il 10 maggio 2003. Contro il Torino, e non potrebbe essere altrimenti. Perché contro il Torino abbiamo vinto la prima Coppa Italia della nostra storia, perché contro il Torino ha avuto inizio la cavalcata della Roma di Liedholm, perché sempre contro i granata – il 15 maggio 1983, giusto due mesi prima che lui nascesse – abbiamo festeggiato e urlato un urlo atteso quarantuno anni. (…)
FONTE: Il Romanista – L. Latini