Domenica sera non c’era. Ma era come se fosse presente. I 63mila dell’Olimpico hanno invocato più volte James Pallotta e non certo per applaudirlo. La frattura che si è creata tra il presidente (ormai assente dalla Capitale da 13 mesi) e la tifoseria giallorossa è profonda. Lo strappo nato dalla mancata conferma di De Rossi come calciatore, è stato lacerante. Paradossalmente più incisivo e logorante di quello di Totti. Perché con Francesco, c’era stato un intero anno per abituarsi (male) all’idea. Con Daniele no.
Quattordici maggio l’annuncio, due settimane dopo la partita d’addio: lacrime, abbracci e tanti cari saluti. Fine della storia. Che non viene riaperta nemmeno dalle dichiarazioni di ieri, rilasciate al sito in lingua inglese del club: «Voglio anche ringraziare i tifosi presenti ieri allo stadio per aver dato a Daniele l’addio che meritava. Dopo averli rappresentati in campo per 18 anni, l’amore e il sostegno dimostrato nei suoi confronti è stato qualcosa di incredibile». Parole che suonano fredde, incolori, inespressive.
«Frasi di circostanza» le ha ribattezzate il mondo delle radio locali. Paradossalmente più caloroso il congedo da Ranieri: «Quando avevamo bisogno di qualcuno che venisse qui in una situazione davvero difficile, Claudio ha detto subito di sì. Non è solo un grande allenatore e un grande professionista, ma un vero gentiluomo e un romanista per sempre. Lo ringrazio da parte di tutto il club».
IL TENTATIVO – Pallotta – insieme al consigliere Baldini (al quale è stato dedicato uno striscione l’altra notte davanti la sua casa di Londra) – è riuscito in un’impresa che aveva appena sfiorato con la semifinale di Champions dell’anno prima: ricompattare una tifoseria divisa da una decina d’anni come nemmeno le famiglie dei Guelfi e dei Ghibellini nel 1300. Bastava ascoltare l’altra sera l’Olimpico.
In passato ai cori contro il presidente, qualche fischio si levava, parte dello stadio rumoreggiava oppure non partecipava. Domenica il boato e la compattezza delle urla sarà arrivato probabilmente fino a Boston. E quello più forte è stato quando gli schermi hanno inquadrato Totti, De Rossi e Conti insieme. Quell’abbraccio, carico di commozione e romanità, per chi non è abituato a vincere vale più di uno scudetto. Difficile da capire per chi ha una cultura diversa e non conosce la storia della Roma.
La domanda ora è lecita: visto che la ripartenza targata Petrachi-Gasperini (sempre che il tecnico si liberi dall’Atalanta) non sembra di quelle che possa far dimenticare in breve tempo gli otto anni senza vittorie più l’affaire De Rossi, cosa può fare Pallotta per provare a riavvicinarsi alla città? Dando per scontato che la cosa lo interessi, la prima mossa potrebbe essere quella d’investire di un ruolo operativo Francesco Totti. Il primo passo per dimostrare con i fatti che quello che è diventato ormai il manifesto delle rimostranze della tifoseria – l’azzeramento del romanismo – non è vero.
Magari in molti la considererebbero esclusivamente una mossa scaltra per uscire dall’accerchiamento di media e tifosi ma intanto rappresenterebbe qualcosa di concreto. Perché al netto del timido mea culpa del Ceo Fienga («La Roma sa dove ha sbagliato») il giorno della conferenza d’addio di Daniele, quello che viene imputato al club è di ritenersi sempre dalla parte della ragione. Sono gli altri che non capiscono, che non apprezzano, che criticano a priori. Forse, dopo 8 anni, uscire dall’accerchiamento facendo un passo verso la tifoseria potrebbe aiutare. Forse.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina