Il pizzicarolo del banco 25 (lo chiamano così i colleghi di mercato, a Piazza Epiro dove ancora si trovano pure le visciole), Francesco, va un attimo nel retrobottega, prende la maglia di Totti. Francesco non gliela ha ancora firmata: «L’altro giorno è venuto a via Vetulonia per il ciak del film, ma c’era troppa gente: non ho potuto avvicinarlo». Sempre, dov’era (e dove sarà) Totti, c’è troppa gente. Come quel 17 giugno di tanto tempo fa, un’altra era geologica e giallorossa, quando la Roma vinse il terzo scudetto e il popolo romanista tinse dei suoi colori la città intera e cantava «alza l’occhi ar cielo e guarda sta città, è tutta giallorossa e te ne devi anna’».
Ieri la città era assolata e desolata: rassegnata forse. Non vedevi striscioni. Sì, i murales per Francesco c’erano, ma quelli ormai fanno parte del paesaggio urbano, la street art del cuore. Il Circo Massimo, invece, era una fornace: mica s’aspettava il concerto. Qualche gru s’allungava per mettere su un palco che verrà, non per la Roma, per questa Roma. Non è nei pronostici. Una comitiva di giapponesi guardava il Palatino dal basso, fotografava. Qualcuno sapeva di Totti, un brand più conosciuto della Roma stessa.
CIMELI PARLANTI Il pizzicarolo mostrava i suoi cimeli: perfino il biglietto per la finale dell’84, il numero di serie 0000452, che vuol dire che arrivò presto al botteghino, o quello della partita d’addio di Bruno Conti. S’avvicina Silvio, un amico, e racconta che «Francesco lo chiamavano er mitraglia». Perché quando la Roma vinceva, sempre quell’era geologica e giallorossa fa, si presentava al mercato con una pistola d’acqua e, dice lui, «sparavo sui macellari laziali». I quali, una volta che la Roma perse, lo aspettavano brandendo per scherzo il coltello. Imitava Batistuta, la bandiera della Fiorentina che da quelle parti vorrebbero di nuovo sul pennone, e invece qui… Altri tempi: i tifosi non erano clienti.
MAMMA FIORELLA Ricordano, qui, mamma Fiorella che scendeva di casa e veniva a fare la spesa la mattina. Prendeva anche il caffè al bar della piazza, dove, ricorda Rita, il giorno dopo quello scudetto misero i tavolini fuori, tortellini per tutti e pure una porchetta fatta scendere da Ariccia.
La colpa, qui non hanno dubbi, «è de Baldini, e de Pallotta, venuto per fare il business, come se fossimo quelli dei Boston Celtics: ha fatto il business di se stesso». Forse neppure quello. «Quando s’è sposato De Rossi al Celio ricorda sempre Rita la mamma di Totti è venuta qui per scaldare il latte al biberon di uno dei ragazzini di Francesco». Roma non è fatta di grattacieli e di bostoniani. «A Roma conclude Francesco del banco 25 c’è er còre’. E quelli lo tradiscono».
LA CITTÀ DI CHECCO Quelli che senti in giro per la città di Totti, quella che va da Porta Metronia dove tutto cominciò, ai covi romanisti, alle case dove abitò, ai luoghi di questa sua Roma di oggi e forse di domani, il Coni, il Circolo Aniene, la Figc, la sua casa oltre l’Eur, che oltre tutto la sede nuova della società gli sarebbe perfino stata più comoda, pure se lui, comunque, avrebbe preferito Trigoria, chissà… Il presidente della squadra Trastevere, Betturri, lancia ancora il suo messaggio: torna da noi. Lì il Capitano tirò i primi calci. E sogna la terza squadra della Capitale, da far giocare magari allo Stadio Flaminio, dove nel frattempo è cresciuta la giungla.
CAMPIONE SENZA FINE Se s’incontra un tifoso di «quelli che Totti», ti spiega che «Francesco è eterno, come la Roma, mica come Pallotta e Baldini; lui poteva guadagnare il triplo e invece è rimasto da noi». Per ripagarlo, gli manda «un bacione», non salviniano s’intende, e gli lancia una invocazione: «Nun molla’, compratela te la Roma». E’ un auspicio. Di fronte al Coni, aspettando la conferenza stampa dell’addio (o dell’arrivederci, come è nei voti e nei volti di tanti) il bancarellaro che vende i tarocchi dello sport, maglie spurie e sciarpe ed altro, è un tipo pronto: la mercanzia ieri mattina era rigorosamente giallorossa. Forse s’aspettava l’arrivo dei tifosi. Se lo aspettavano anche le forze dell’ordine, prudentemente sistemate all’ingresso del Palazzo H, non si sa mai.
SOLO TRISTEZZA E invece si poteva immaginare, pure se la precauzione non è mai troppa: più che la rabbia, il sentimento che tracimava per la città di Totti era la tristezza, era la rassegnazione. E se fosse questa la maggior colpa dei colpevoli? E se toccasse ancora una volta a Totti riaccendere l’entusiasmo magari, andando, come ha promesso, «con Daniele in Curva Sud». Ma siamo certi che lo farebbero entrare, dopo che l’hanno fatto uscire due volte in malo modo?
FONTE: Il Messaggero – P. Mei