Il signor Gianluca Petrachi si presenta a Trigoria. Quasi con la voce di Antonio Conte, suo amico e salentino come lui, che ha scelto un’altra strada. Non ride quasi mai, in effetti non c’era nulla da ridere, ha lo sguardo severo e si definisce un «direttore sportivo da campo». Sostiene che non parlerà con i giornalisti («sono omertoso»), e qui otterrà facili consensi dai tifosi, che vengono definiti tra i migliori, «quelli che ti fanno venire la pelle d’oca anche da avversario».
Di cose ne dice, con molta sincerità. La sensazione è che il suo ingresso non sia proprio da definire in punta di piedi. Non sembra un timorato, uno che si fa travolgere dall’immenso nome di Roma o da proclami di vittorie. Sembra a suo agio, nel dire (lo abbiamo ascoltato) e nel fare (lo scopriremo, e qualcosa già abbiamo scoperto). Petrachi entra dalla porta principale, non bussa, irrompe e sistema in ordine sparso: Dzeko, Baldini, Barella, El Shaarawy, Zaniolo, poi via via tocca tutti, da Florenzi a Higuain, fino a Icardi.
Segna il territorio: «Fienga è il mio unico referente». Punto. Chiarisce la posizione di Baldini e la sua posizione da consigliere del presidente: «Lui mi ha proposto, ma sono stato chiaro: non transigo sulle scelte. La società mi deve dire possiamo o non possiamo fare questa spesa, ma sul discorso tecnico sono io a prendere la decisione e la responsabilità degli acquisti, non ho un budget. Non sarà Franco Baldini a condizionarmi. Lui può essere una risorsa. Serve collaborazione: se non dovesse andare così non sarò più seduto su questa sedia». Carattere.
IL DECISIONISTA – Qui il campanello d’allarme inevitabilmente suona, visti i precedenti. A meno che non sia davvero cambiata la situazione e questo non può che essere auspicabile. Petrachi, così a guardarlo, non sembra uno che accetta compromessi. Ma uno, forse, l’ha già dovuto accettare, quando ha parlato di Fonseca, del quale ama il gioco «codificato e offensivo».
Quindi, ok a Fonseca che, a suo dire, ci stupirà. Ben diverso il portoghese dal suo amico Conte, che ha provato a portare a Roma. Allenatori diversi tra loro. «Antonio vuole vincere subito e ha visto nell’Inter una squadra più pronta. Gli ho solo detto che farlo a Roma sarebbe stato bellissimo». E Petrachi proverà a farlo, ma non lo promette. «Bisogna essere realisti, sarei stupido se parlassi di vittorie. La Roma è all’anno zero, bisogna costruire. I miei colleghi mi dicevano: ma che vai a fare alla Roma? Mi piacciono le sfide, rispondevo.
Questa è una squadra che deve ripartire con dei valori e nuovi principi. I giocatori devono avere qualità morali, non pensare solo al dio denaro o ad avere la pancia piena. Io scelgo prima gli uomini poi i calciatori. La Roma non è una succursale, chi viene a Roma deve avere entusiasmo».
LA VOCE DEL BOSS – Fa capire chiaramente che gli piace Higuain, così come Icardi, che la sua Roma dovrà ripartire dai giovani e non solo. «Un mix di gioventù ed esperienza, alla squadra serve un po’ di sciabola e un po’ di fioretto». Ma prima di spianare la strada a Gonzalo prepara l’uscita dirompente di Dzeko.
«Non deve passare il messaggio che uno si sveglia il mattino, decide di andar via e ci ricatta. Non mi piace essere preso per la gola. Non mi interessa se un giocatore ha raggiunto un accordo con un’altra società (l’Inter, ndr), non deve pensare di stare a casa sua, non è il padrone. Diawara mi ha chiamato e mi ha detto che è pronto a non fare le vacanze per fare il ritiro. Questo è il senso di appartenenza e entusiasmo che voglio ritrovare in ogni giocatore. Higuain? Se vuole riemergere, la squadra migliore per farlo è la Roma. Qui potrebbe seguire le orme di Batistuta». Chiaro, no? Usa più o meno lo stesso tono con Barella.
«Era contento di venire alla Roma, poi c’è stato l’addio di Monchi e si è perso tempo per chiudere. Si è inserita l’Inter e ha fatto la sua proposta e Conte, che è molto bravo a motivare i giocatori, lo ha chiamato. Io non ho mai cercato Barella. È il Cagliari che ha cercato la Roma dicendo che l’Inter traccheggiava. Per me era già difficile da prima: il giocatore vuole andare a Milano. Per me è un capitalo chiuso».
IL BABY D’ORO – Capitolo non chiuso con Zaniolo, sul quale versa parole non proprio dolcissime. «Ha avuto un grande exploit, ma non ha avuto un buon fine di campionato. Qui si fa presto a creare dei miti, io amo la concretezza, Nicolò ha le qualità per arrivare al top. Se le mette in mostra sarà il fiore all’occhiello, ma deve stare con i piedi per terra perché a questa età si fa presto a perdere il senso della ragione. Nell’ultimo periodo ha smarrito questi concetti, e quando tornerà ci parlerò. L’importante è che capisca che deve migliorare e che ancora non ha fatto nulla».
In linea il discorso su El Shaarawy. «Mi piacerebbe se restasse, c’è la volontà di rinnovargli il contratto, poi non bisogna strafare: io non posso competere con la Cina. Se vuole restare cercherò di accontentarlo, se invece vuole andare io non lo trattengo». Infine, messaggio tutto da interpretare su Florenzi. Parole che arrivano legate al discorso sul senso di appartenenza, perso con gli addii a De Rossi e Totti.
«È il capitano, il senso di appartenenza deve essere in ognuno di noi. I giocatori lo devono dimostrare con i fatti non con le chiacchiere. Ho visto giocatori che facevano un gol, baciavano la maglia e poi dicevano che non vedevano l’ora di andarsene. Per me esiste solo la Roma, se vedo che qualcuno fa il fenomeno non avrà vita lunga qui». Il territorio è tracciato. Auguri.
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni