Il gusto dissacrante di Roma l’aveva accolto con un soprannome che era uno sfottò: Zorro. Colpa di un travestimento con cui si presentò in conferenza stampa ai tempi dello Shakhtar due anni fa dopo aver battuto il City di Guardiola. Oggi però di Paulo Fonseca non ride più nessuno: alle spalle di Juve e Inter c’è la sua Roma, terza forza contro pronostici e destino, che da inizio anno gli ha già tolto 15 calciatori per infortunio, 7 tutti insieme.
Eleganza impeccabile, unica deroga al vestito blu nel derby, con un pantalone beige che non ha riproposto più. Il ricciolo sulla fronte a testimoniare la cura per il look dalla testa ai piedi. Dicono non sia un allenatore “cattivo”, alla Conte o Mourinho per intenderci. Il carisma lo manifesta in altri modi, con un rispetto tale che gli basta la propria delusione per una partita per impietrire la squadra intera. Così ha “raddrizzato” l’irrequieto Pastore, al capitano Florenzi ha spiegato di non vederlo terzino: parla chiaro a tutti.
Ha preteso uno staff di 5 persone per curare ogni dettaglio tattico, eppure le prime mosse del tecnico di Nampula non si sono concentrate sul campo. Ma a tavola. Una, in particolare, è quasi un dogma: due pasti al giorno a Trigoria, per tutti, e non si sgarra. Così ha voluto Paulo, che pretende di controllare cosa mangiano i suoi giocatori almeno a colazione e a pranzo (solo in ritiro è monitorata anche la cena), contrariamente agli anni scorsi quando i giallorossi erano abituati a fuggire dall’allenamento in tempo per pranzare a casa. Oggi non più: anzi per fare in modo che non sfugga il controllo, ha fissato tutti gli allenamenti alla mattina e posticipato il rompete le righe tra le 15.30 e le 16.
Il programma è sempre lo stesso: alle 8.30 Fonseca vuole tutti al centro tecnico, tra le 9 e le 9.15 ci si ritrova a fare colazione leggera, poi palestra, quindi un’ora in campo e intorno alle 13 a tavola per pranzare insieme. Tutti, nonostante le timide istanze di deroga proposte dai giocatori (e respinte). Questa è la vera rivoluzione. Perché un anno fa la mensa di Trigoria era strutturata su due livelli: un menù per calciatori e dirigenti, un altro – con spazio separato da quello che ospitava la squadra – per gli altri dipendenti.
Oggi la Roma ha azzerato le distinzioni: un intervento strutturale in estate ha ridisegnato lo spazio per una soluzione più democratica: stesso menù per tutti i dipendenti, da Dzeko ai magazzinieri al custode. Si può scegliere tra due primi e due secondi (pasta al sugo o con le verdure, bresaola, mozzarella, pollo). Ma, soprattutto, stessi tavoli, senza divisioni. A complicare il lavoro del nutrizionista Guido Rillo, da quest’estate affiancato dall’educatore alimentare Tiberio Ancora, l’arrivo di Chris Smalling, primo vegano a Trigoria, dove dai tempi di Totti regnano pizza e mortadella.
Medico e giocatore hanno studiato insieme la dieta, sostituendo i cibi tradizionali con alternative che garantissero lo stesso contributo energetico senza tradire i principi dell’inglese (e della moglie Sam). Il passo più complesso è calibrare gli alimenti in modo da non esagerare con le proteine. Non è scaramantico Fonseca, ma ha guardato con favore alla visita di monsignor Fisichella, che 10 giorni fa ha benedetto i campi di Trigoria: da quel momento, zero infortuni e 3 vittorie di fila. Cancellando pure la presunta “maledizione” della cappella di Trigoria, fatta costruire dai Sensi e oggi occupata dal media center. Mai sconsacrata, dicono. L’impressione è che, mescolando sacro e profano, la vera benedizione per la Roma sia proprio Paulo Fonseca.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci