Ha ragione da vendere, Francesca, la mamma di Nicolò Zaniolo, fa benissimo – brava, bravissima! – a ritenere gli insulti sessisti assimilabili al più osceno razzismo, con i suoi cori ottusi, ributtanti. Ha innanzitutto ragione perché fosse anche l’esibizionismo, il compiacimento di sé, perfino nelle forme più “coatte”, nel senso che questa parola assume a Roma, non può essere ritenuto un crimine, una colpa, e dunque dietro agli insulti che accompagnano i suoi selfie si cela una forma immediata di maschilismo meschino, la frustrazione onanistica coltivata da molti, poveri casi umani, incagliati mentalmente tra bar e sala-corse.
Ha ragione Francesca Costa perché suo figlio, il campioncino, non deve farsi carico, meglio, non deve sentire come peso, l’avvenenza, meglio, il fatto di avere una madre desiderabile, meglio, ragazza che ostenta se stessa, il proprio piacersi. Esatto, restando in tema, perfino edipico, bastano e avanzano già i compagni di classe, gli stessi che, quando vengono in casa, mentre lei prepara la Nutella per tutti, si guardano dandosi di gomito. Ha ragione perché è davvero inaccettabile scorgere la casella dei social colma d’ogni orrore lessicale e dunque antropologico, come estensione ulteriore degli insulti sugli spalti, e viceversa, e dunque…. Dunque, sia benedetto lo sfogo tutto personale, umanissimo, di Francesca Costa.
Meraviglioso immaginarla, incazzata, furente, pronunciare un definitivo, tutto romanesco: “E mo’ basta!” Quasi che avere un campioncino li’ in casa, e per giunta pupillo della “Magica”, sia motivo di cui preoccuparsi, temere contraccolpi nella sfera dell’umano rispetto. Forse, accanto alle scuole, ai vivai di calcio e perfino le rubriche che parlano, appunto, di pallone dovrebbe esistere un implacabile avviamento statale alle regole minime di civiltà che contempli un durissimo corso che, insieme alle aste dell’educazione civica, serva comunque a spiegare che perfino la banalità è un crimine, così come l’insulto gratuito, e se ciò non bastasse, un annesso doposcuola notturno di ironia, al di là della quale rimane soltanto la percezione di un linguaggio da cesso, un vespasiano pubblico graffito di orrori. L’ho detto che orrore in questa storia?
FONTE: Il Corriere dello Sport – F. Abbate