Un anno esatto dopo la batosta rimediata in Champions League a Barcellona, con i sei gol (a uno, firmato da Edin Dzeko) di Luis Enrique in faccia a Rudi Garcia, i giallorossi guidati da capitan Radja Nainggolan hanno impiegato meno di una dozzina di minuti per far scattare in piedi il pubblico (scarso assai…) dell’Olimpico. Ci ha pensato proprio il Sellerone de Noantri a sbloccare il risultato con uno dei più bei gol della Roma degli ultimi anni. Una prodezza in stile Cigno di Sarajevo (capito?…), che ha lasciato senza parole sia Kozacik, il portiere avversario, sia i suoi compagni di squadra, che non si aspettavano una prodezza del genere. Dzeko, con quella “suatta” di sinistro, ha messo a tacere anche chi, perdendo l’occasione di stare zitto, aveva (ri)cominciato da un paio di settimane a storcere il naso per il (breve…) digiuno del capocannoniere del campionato italiano.
Solo che, come capita praticamente sempre, il gol di Dzeko è stato subito vanificato dalla ennesima dormita della difesa giallorossa, con l’evitabilissimo gol del pareggio di Zeman. Brutta faccenda: dopo meno di venti minuti, insomma, in Casa Roma già la certezza di non riuscire a mantenere la porta inviolata. Un neo che ormai è diventato un difetto, anzi un vizio strutturale: la Roma continua a passare in vantaggio (13esima volta stagionale, contro il Viktoria) e pure a beccare gol. La squadra di Luciano Spalletti in questa stagione non ha mai vinto per uno a zero, eppure il regolamento, anche quello internazionale, non lo vieta. Il Sellerone de Noantri, però, ha pensato bene di riportare la Roma in vantaggio e di mandare un altro cioccolatino a quelli del gruppo “Edin Dzeko è un pippone”. Nell’occasione con un colpo di testa alla Pruzzo (sì, proprio alla Pruzzo). A seguire la rete da giocoliere di Perotti e il tris del bosniaco (con salutino a quegli amichetti…), verissimo e al tempo stesso falso nueve. Morale della favola: Roma ancora una volta capace di fare quattro gol (ma quanti se ne sono pappati?) e di beccare il solito fischione degli avversari. Tutto è bene quel che finisce bene, recitava un vecchio proverbio: non c’è dubbio ma, ne converrete, sarebbe meglio campare con un filo di batticuore di meno. E, ovviamente, con la porta sbarrata.