«I danni prodotti da questo virus non sono soltanto sanitari, ma anche sociali. Mi riferisco ai comportamenti degli egoisti e dei furbi. All’inizio qualcuno ha provato a prendere dei vantaggi su chi, in quel momento, era più debole. E non sto parlando solo del calcio italiano, ma anche di decisioni prese dai governi di alcuni Stati o da compartimenti industriali di concorrenza sleale, Il calcio, che in Italia è il terzo settore per fatturato, compreso l’indotto, si salverà se gioca di squadra».
Mettere una data per la ripartenza del campionato, in questa situazione, è illudere la gente? «Fissare degli step è utile, ti costringe a programmare e a capire quanto serve per essere pronti. Detto questo, ogni data è subordinata all’emergenza. Si parte quando non c’è più rischio, non un minuto prima».
Sulla ripresa degli allenamenti la serie A non ba una posizione univoca. Perché? «Gli allenamenti di sportivi professionisti sono regolati da un Decreto ministeriale in base a standard di sicurezza. I medici sportivi hanno dato indicazioni chiare: serve un mese di allenamenti per riprendere a giocare, da qui l’idea di riprendere il 3-4 aprile. Però le date possono cambiare a seconda dell’evoluzione dell’emergenza. Naturalmente, prima di ripartire dovranno essere fatti controlli su tutti i calciatori». (…)
I calciatori accetteranno di guadagnare di meno? «Qui bisogna mettere in sicurezza tutto il sistema calcio, parlare solo di stipendi è riduttivo. Si può partire anche da quelli dei top manager, allora. I calciatori sono sensibilizzati, non vivono fuori da questa emergenza mondiale. Non sappiamo ancora quali saranno i valori dei diritti televisivi, le quotazioni dei cartellini dei calciatori, i nuovi criteri degli stipendi. Ci sono tante ipotesi, è probabile che si debba ripartite da un livello inferiore per tutti. Per questo c’è bisogno di chiarezza e di una visione comune».
Tutti sanno che c’è una trattativa con Dan Friedkin per il passaggio di proprietà, in questo momento per forza di cose congelata. Come si sta relazionando Pallotta con la parte italiana del club? «Il presidente Pallotta ci sta supportando in ogni modo per garantire la serenità di tutto il gruppo Roma, che è ben più ampio dei giocatori che vanno In campo. Per questo non finirò mai di ringraziarlo».
Il calcio diviso dà una brutta immagine di sé. Possibile che non se ne accorga? «A volte è successo. Però il calcio sa anche aiutare. Attraverso la nostra fondazione Roma Cares il 15 marzo abbiamo distribuito 600 mascherine all’Ospedale Sant’Andrea che ne era privo anche per il personale; Il 17 marzo 13.000 mascherine e 120 flaconi di gel igienizzante da 500 ml a cinque ospedali romani e all’Ares 118; il 19 marzo 2000 flaconcini di gel igienizzante e 8000 guanti sterili in lattice alle parrocchie di Tor Bella Monaca, Corviale, Primavalle e Borghesiana; il 20 marzo, anche attraverso le donazioni del calciatori, abbiamo ordinato 3 ventilatori polmonari ad alta complessità, 6 ventilatori polmonari per terapia sub intensiva e 8 postazioni letto per terapia intensiva. Siamo fieri di aver contribuito non solo con la raccolta di fondi, ma anche e soprattutto risolvendo problemi pratici, in collaborazione con la Protezione civile nazionale e l’assessorato alla sanità della Regione Lazio. L’organizzazione Roma funziona anche fuori dal calcio: a consegnare mascherine e gel ci hanno pensato i nostri volontari, Donare soldi è importante, ma noi abbiamo voluto anche impegnarci personalmente».
Qualche giocatore della Roma le ha chiesto di lasciare la città? E le hanno chiesto di poter fare il tampone? «No, nessuno cl ha chiesto di andar via, anche se è logico che chi ha messo radici qui da tempo, magari con la famiglia, sia facilitato nell’isolamento. Non abbiamo avuto casi di positività né sappiamo di contatti di nostri giocatori o loro familiari con casi positivi. Non c’è stato motivo di chiedere un’eccezione al Sistema Sanitario Nazionale che è già sotto stress. Abbiamo attivato una piattaforma interna che assiste calciatori di prima squadra, della squadra femminile, delle giovanili e dei dipendenti. Mettere in sicurezza solo il settore dei calciatori di serie A non ha senso. Il virus, in questo senso, è molto democratico. Colpisce tutti e proprio per questo bisogna proteggere tutti». (…)
FONTE: Il Corriere della Sera