Io una cosa l’ho capita in queste settimane tante, troppe di isolamento: che noi siamo come calamite. E che questa quarantena sociale ha invertito le nostre polarità. Siamo fatti per essere attratti l’uno dall’altro, ma in questo momento e forse (temo) per un po’ di tempo finiremo per rivolgere agli altri il polo sbagliato. Positivo contro positivo, negativo contro negativo: per tenerci a distanza.
La distanza sociale: abbiamo imparato a conoscere questo termine, anche. Vivo a Casal Palocco: è un piccolo paese, questo. Villette e distanziamento che viene quasi naturale. O almeno la gente pensa questo di Palocco: non è proprio così. Gli spazi aperti e i lunghi viali suggeriscono corse e passeggiate. La gente normalmente lo popola così, Palocco (…).
Sono una persona fortunata e ho uno spazio adeguato anche per coltivare le mie passioni fondamentali (compreso l’esercizio fisico e l’insegnamento del calcio ai miei due figli) senza andarle a cercare fuori. Ma quando l’altro giorno è passato il direttore della mia scuola calcio per portarmi dei documenti da firmare ho fatto fatica anche solo a varcare la soglia di casa.
Sporgendomi un po’ là fuori, però, ho visto davvero una Palocco lunare: irriconoscibile. Quando giocavo nella Roma capitava di essere ad agosto in città per allenarci; ci si preparava alla stagione ventura, eppure un panorama così senza nessuno a passeggiare, correre, andare in bici o con i bambini non c’era mai capitato di vederlo (…).
Il timore che ho è che questa specie di agorafobia ci resti addosso, dopo. Anche se il dopo si allontana nel tempo ogni due settimane, lasciandoti addosso la sensazione chiara che mascherine e guanti, che distanze e un po’ di diffidenza nel contatto ce la porteremo dietro per chissà quanto (…).
Ecco, nell’incertezza delle date, delle previsioni, dei test più o meno risolutivi, io una cosa la so bene: l’emergenza, per me, sarà finita il giorno in cui tornerò all’Eschilo 2, il centro sportivo che è la mia vita, e sentirò di nuovo le urla e il baccano dei 400 ragazzini (miei figli compresi) che ci giocano a pallone (…).
FONTE: Il Messaggero – S. Perrotta