Come tenere in attività un club di calcio che non può fare quello che ha sempre fatto: giocare a pallone?
“Ce lo siamo chiesti in tanti. La risposta della Roma è stata: essere utili in questa pandemia che ha bloccato il mondo e seminato lutti”.
Come? “Abbiamo cercato di dare una mano concreta. Non potevamo essere “competitivi” in una raccolta fondi, così ci siamo indirizzati al reperimento di beni di prima utilità, mascherine e gel igienizzanti – che potevamo acquistare e distribuire senza le difficoltà burocratiche di un acquisto pubblico. Poi`e stata la volta dei respiratori e dei tablet per gli ospedali. Abbiamo pensato alle iniziative per gli abbonati over 75 e over 60, per i bambini a Pasqua. La cosa più importante è stato il gioco di squadra”.
Come contenere la crisi che, inevitabilmente, investirà il calcio? “La situazione è difficile per tutti. Abbiamo cercato di riconvertire il possibile e di salvare il maggior numero di posti di lavoro. Le Apecar che servivano per vendere i biglietti nel centro storico ci sono servite per consegnare i pacchi di prima necessità, anche con l’aiuto dei tifosi di diversi settori dello stadio Olimpico. Il call center che di sicuro non poteva vendere biglietti è diventato centro di informazioni per i tifosi”.
Quale è stata la reazione dei tifosi alle vostre iniziative? “L’emozione. Abbiamo filmato le consegne, per tenere una testimonianza sul sito ufficiale e per fornire una copia anche a chi era diventato protagonista. Alcune, però, le abbiamo dovute tagliare perché erano troppo “tifose”. Contro i nemici storici è volata qualche battuta che solo i romani possono capire. La passione per il calcio non si ferma mai”.
Il calcio non poteva fare di più per aiutare la ricerca contro il virus? “Parliamo di un mondo dove girano centinaia di migliaia di euro. Dare i soldi è sicuramente utile, intervenire in prima persona come abbiamo fatto con Roma Cares ti dà una soddisfazione in più”.
FONTE: Il Corriere della Sera – L. Valdiserri