L’alba della nuova Roma. Si è concretizzata davanti al notaio Nicola Atlante. Intorno alle quindici e trenta di ieri, in un signorile palazzo del centro, sede dello studio Dla Piper, a un tiro di schioppo dalle meraviglie di piazza di Spagna e Trinità dei Monti. Presenti non meno di una ventina di avvocati di entrambe le parti, collegato da Houston un altro stuolo di legali. È stato a quell’ora che è arrivato il bonifico estero su estero (due banche europee) che, attraverso un codice, ha consentito ai presenti di seguire il flusso dei soldi che dal conto corrente del gruppo Friedkin si trasferivano in quello indicato da James Pallotta.
Evviva, la Roma è dei Friedkin. Il grande capo sarà il presidente (venticinquestimo della storia romanista), il figlio Ryan il baby destinato a seguire in prima persona a Roma, dove ha già comprato casa, le vicende della nostra squadra, una presenza sul territorio che è stata anche sottolineata (quasi a far capire il cambiamento rispetto al recente passato) nel virgolettato di papà Dan nel comunicato che, otto minuti dopo le diciotto, a Borsa chiusa, ha santificato il passaggio di proprietà.
A conferma del grande rispetto che la famiglia ha della storia (la moglie di Dan è una grandissima appassionata di archeologia, da queste parti ne potrà fare indigestione), la nuova società che ha rilevato la Roma, è stata chiamata Romolus and Remus Investments, società che era stata costituita il ventisei febbraio scorso (come scritto sul documento che ha ufficializzato l’Opa), a conferma di come già all’epoca si fosse arrivati alla chiusura prima che la pandemia stoppasse il mondo. In una giornata che di fatto costituisce un angolo fondamentale della nostra storia, in realtà di sorprese non è che ce ne siano state molte.
Nel senso che tutto quello che è successo era stato già programmato da diversi giorni, in pratica dal cinque agosto scorso, quando fu dato alle stampe il comunicato delle firme sul preliminare d’acquisto con tanto di versamento di una sostanziosa caparra. Quindi, ieri mattina, allo studio Dla Piper, tra le dieci e trenta e le undici e quarantacinque minuti, si sono presentati tutti gli avvocati interessati al deal. Insieme con loro il Ceo giallorosso Guido Fienga, il vicepresidente Mauro Baldissoni (gli unici che non hanno presentato le dimissioni ieri e neppure per la prossima assemblea fissata per fine settembre che dovrà eleggere il nuovo Cda), accompagnati da Giorgio Francia, direttore finanziario del club.
A quel punto c’è stata l’ennesima verifica dei contratti e, soprattutto, è stata affrontata la questione delle dimissioni dei consiglieri born in the Usa. In sette sono usciti dal Cda: James Pallotta, Charlotte Beers (indipendente), Richard D’Amore, Gregory Martin, Paul Edgerly, Cameron Neely (indipendente), Barry Sternlicht. Abbiamo ritenuto opportuno indicare i due indipendenti perché nel prossimo Cda, che non si sa di quanti membri sarà composto (forse da nove persone), ce ne dovranno essere altrettanti con la qualifica di indipendenti (uno probabilmente sarà il dottor Barnaba). Una volta espletata la questione delle dimissioni, i presenti hanno dovuto soltanto aspettare che si manifestasse il cash.
Nell’attesa hanno fatto uno spuntino a base di panini e macedonie. Poi, come detto, intorno alle quindici e trenta, c’è stato il sospirato closing che, per quello che ci risulta, non è stato festeggiato con particolari brindisi. Anche perché acquirente e venditore non erano presenti (Pallotta si è solo collegato via telefono), del resto ci sarà tempo e modo per festeggiare. Al momento non è dato sapere quando Ryan potrà sbarcare nella capitale, ma l’impressione è che lo farà appena sarà possibile. Per papà Dan probabilmente bisognerà attendere un po’ di più, è a Houston dove la tragedia del Covid è maledettamente d’attualità, basti pensare che nel Texas si è superata la soglia del mezzo milione di contagiati. (…)
FONTE: Il Romanista – P. Torri