La pietra tombale sul progetto del nuovo stadio della Roma ha le sembianze di una lettera. Due pagine scarse, datate 13 ottobre, rimescolano ancora una volta le carte su Tor di Valle e riservano l’ennesimo colpo di scena di un iter infinito: i terreni sui quali il club giallorosso vorrebbe realizzare la sua nuova casa sono pignorati. «Il complesso immobiliare — scrive il Comune — non è nella libera disponibilità dell’attuale proprietaria Eurnova Spa».
La società di Luca Parnasi, il costruttore arrestato per corruzione nell’inchiesta sullo stadio romanista, non naviga in buone acque. Il vecchio ippodromo di Julio Lafuente, quello di Febbre da cavallo, potrebbe finire all’asta per ripianare i debiti. Sull’area gravano ipoteche per 42 milioni di euro da eliminare prima di cedere tutto all’immobiliarista ceco Radovan Vitek. Un guaio. Non tanto per la cifra, esigua a fronte di un masterplan da un miliardo di euro, ma piuttosto per il nodo che rappresenta. Un gomitolo sempre più difficile da dipanare.
In questo senso, la missiva di palazzo Senatorio è illuminante: «Questa amministrazione non è mai stata portata a conoscenza di quanto sopra (del pignoramento, ndr) negli innumerevoli tavoli e incontri via via succedutisi ai più vari e alti livelli». La procedura giudiziaria «sinora sottaciuta» risale al 18 gennaio 2019. Una (brutta) sorpresa per tutti. Per i tecnici del Comune.
E soprattutto per la Roma: la lettera del Campidoglio è rimasta senza risposta. Già, perché i Friedkin sono pesantemente disorientati su Tor di Valle. Dan e Ryan, padre e figlio, hanno acquistato un club zeppo di debiti (l’ex patron James Pallotta ha venduto lasciando un bilancio in perdita di 204 milioni) e non hanno intenzione di contrarne di nuovi. Vogliono un nuovo stadio per la Roma, ma senza avventurarsi in una mission impossible.
Per mettere le mani sulla porzione dei terreni a ridosso del Grande raccordo anulare che interesserebbe lo stadio, si sono visti chiedere 45 milioni di euro da Vitek che acquisterebbe l’intera area a 50. Un prezzo giudicato non equo. In più c’è il percorso autorizzativo: il Comune pretende che nei documenti ufficiali continui a figurare Eurnova, mentre i due tycoon texani non vedono perché si debbano legare a un intermediario fallito
Così hanno preso a guardarsi attorno. Cene, riunioni, videoconferenze: le opzioni sul tavolo sono la riqualificazione del Flaminio o il trasloco a Tor Vergata. Tor di Valle, il «regalo di Natale» su cui la sindaca Virginia Raggi punta forte per a sua campagna elettorale, resterà ben impacchettato. E poco importa che Il progetto fin qui sia costato 93 milioni. Quando ha letto il report con costi e planimetrie, la nuova proprietà è impallidita.
Uno stadio da 52.500 spettatori rischia di essere sovradimensionato, ipertrofico e disegnato senza pensare a cosa ne sarà degli spettacoli dal vivo dopo il Covid. Lo stesso vale per il business park che dovrebbe finanziare l’opera e coprire circa 300 milioni di euro tra opere pubbliche e oneri di urbanizzazione: cosa fare di sette palazzine di uffici all’era dello smart working? Una domanda che non ha trovato risposta nei dossier della stadio Tdv spa.
FONTE: La Repubblica – L. D’Albergo