Quella di Bologna è stata la partita numero diciassette della stagione della Roma e la decima vittoria (cinque i pareggi, uno dei quali trasformato in sconfitta a tavolino per la vicenda Diawara, due le sconfitte sul campo). 37 i gol realizzati (24 in campionato su 11 giocate, 13 in Europa League su 6 giocate: la media fa sempre poco più di due gol a partita).
La sensazione che ha lasciato la partita di Bologna, al netto delle corresponsabilità di una squadra di casa davvero slegata, è che la Roma sia ormai completamente sbocciata in tutta la sua bellezza grazie a un sistema di gioco che mette ogni giocatore in condizione di esprimersi al meglio, all’altissima qualità media dei migliori calciatori della rosa, all’efficacia dei meccanismi nelle diverse fasi di gioco (possesso, non possesso, transizione positiva, transizione negativa) e anche all’illuminata gestione delle energie tra campionato e coppa in questa prima fase di stagione.
Sì perché in questo momento è innegabile come molti giocatori sembrano assistiti da una condizione atletica straripante: pensiamo, di quelli visti a Bologna, a Ibanez, a Spinazzola, a Karsdorp, a Veretout, a Villar, a Pellegrini, a Mkhitaryan. In un momento in cui quasi tutte le squadre concorrenti per le stesse posizioni di vertice (soprattutto quelle impegnate in Champions) hanno dovuto affrontare una serie di partite ravvicinate in qualche modo “consumando” i titolari a cui nessun allenatore vuole rinunciare, Fonseca può permettersi di cambiare anche dieci giocatori tra una partita (Sofia) e un’altra (Bologna) saltando a pie’ pari anche l’ostacolo di cui lo stesso allenatore aveva parlato in conferenza stampa riguardo la mancata attenzione mostrata dalla Lega nei confronti delle squadre italiane che, dopo aver affrontato impegni europei oltretutto in trasferta, non hanno la possibilità di riposare 24 ore in più.
Peraltro quella di Sofia è stata una delle due partite perse sul campo in questo avvio di stagione con una prestazione deludente delle cosiddette “seconde linee”, colpevoli soprattutto di aver abbassato in maniera significativa l’asticella dell’attenzione. Rialzandola, poi vengono fuori prestazioni come quelle del Dall’Ara, sostanzialmente perfetta. Aveva ragione dunque l’allenatore a dire che la prestazione di Sofia non avrebbe avuto riflessi su quella di Bologna, così come appare però chiaro il fatto che la Roma dei cosiddetti titolari (intendendo per titolari quei 14-15 che si alternano soprattutto in campionato) è decisamente una squadra forte e in grado di competere ad altissimi livelli in Italia e in Europa.
I meriti di Fonseca È indubbio in tutto questo che i meriti maggiori siano dell’allenatore. Si può discutere se il cambiamento di mentalità di questa squadra soprattutto nella nuova veste tattica sia stato più o meno tardivo, ma è indiscutibile che ci sia stato e già dalla parte finale della scorsa stagione. Considerando solo la serie A e sommando le ultime otto del torneo terminato in estate e le undici dell’inizio di questa fanno 19 gare, quanto un intero girone, con una sola sconfitta (a Napoli), cinque pareggi e 13 vittorie.
Un cammino da vertice, capace di generare 44 punti, 88 potenziali in un ideale campionato intero, cifra che avrebbe consentito di vincere cinque degli ultimi dieci tornei di serie A e di arrivare secondi negli altri cinque. Con questo non si vuole certo dire che la Roma sia diventata all’improvviso una squadra in grado di puntare al titolo, ma solo che è arrivata ormai a garantire quella continuità di rendimento che tante volte in passato veniva invocata e che ora la porta a poter competere con tutti.
Poi restiamo convinti che la somma tecnica dei giocatori della rosa resti ancora inferiore a quelle di squadre con budget e investimenti differenti (Juventus e Inter) e in linea con quelle di squadre che stanno in questo momento producendo il massimo sforzo (come Milan e Napoli). Ma di sicuro superiore a quelle di squadre come Sassuolo, Atalanta e Lazio che pure puntano in alto.
I rischi in non possesso (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco