La sintesi finale è che non sarà Virginia Raggi sindaco a chiudere il dossier Stadio della Roma. Nella migliore delle ipotesi sarà il prossimo inquilino di Palazzo Senatorio. Sempre ammesso che i Friedkin vadano avanti nel progetto che, a loro giudizio, presenta molti problemi gran parte dei quali, però, si riproporrebbero anche scegliendo nuove localizzazioni per l’impianto. Per i Friedkin, Tor di Valle si intreccia con una serie di nodi: la cronica lentezza italiana (e romana in particolare) nel fare le cose, le indecisioni politiche, il Covid e i suoi effetti sul futuro, la trattativa con Vitek, gli assetti societari globali, i partner potenziali da trovare per la squadra e per lo Stadio.
Il primo punto è quello dei costi generali dell’affare, in particolare quello delle opere pubbliche e degli uffici. L’attuale conformazione del progetto – con sette palazzine – per la parte uffici appaiono poco appetibili sul mercato. Le opere pubbliche sono care e giudicate a rischio efficacia: la cancellazione del Ponte di Traiano e dello «sfioccamento» della metro B non sembrano compensate dalle opere sostitutive: il potenziamento della Roma-Lido e il ponte dei Congressi. Sono fuori dalle competenze della Roma e, anche se non c’è più la contestualità di queste, il rischio è quello di completare il complesso Stadio e rimanere imbottigliati a ogni partita. Inoltre, il costo delle opere pubbliche, 333 milioni in totale, è giudicato elevato.
Nell’analisi che i Friedkin stanno conducendo insieme a Stefano Scalera, arrivato a gennaio proprio per seguire in primis il dossier Stadio, i dubbi sono legati alla melassa romana di uffici indolenti, trappole burocratiche, inghippi archeologici, ricorsi pretestuosi. In questa riflessione si inserisce il magnate ceco Radovan Vitek che ha fatto arrivare ai Friedkin una prima offerta: linea di credito garantita per un miliardo, conferimento del complesso nel patrimonio sociale in cambio di un ingresso nelle quote azionarie dell’As Roma.
Per i Friedkin non c’è fretta: l’iter burocratico è incagliato fra Regione e Comune e, a settembre scorso, la Roma ha fatto sapere al Comune che ci si sarebbe preso un anno per riflettere. I texani vogliono partner ma non una presenza troppo forte dentro casa, ecco perché per ora c’è il «no grazie» all’offerta iniziale di Vitek che per i primi giorni di marzo dovrebbe chiudere con Parnasi la cessione di terreni e progetto. Piuttosto i Friedkin stanno ragionando su due elementi: ottenere una modifica del progetto e cedere a Vitek l’intera parte commerciale in cambio di un impegno consistente sulle opere pubbliche.
Le modifiche su cui si sta studiando potrebbero essere due: cambiare la destinazione d’uso del comparto uffici e trasformare tutto in commerciale. Ipotesi difficilmente percorribile senza azzerare l’iter e ricominciare da capo. Molto più facile, invece, la seconda opzione: cancellare le sette palazzine «orribili» e utilizzare la stessa cubatura in un unico edificio. Per questo, basterebbe una delibera di Consiglio comunale di integrazione delle precedenti. In entrambi i casi, però, queste modifiche renderebbero molto più appetibile per Vitek accettare l’idea della Roma di cedere al Ceco tutto il «cucuzzaro», tranne la parte sportiva, in cambio di una copertura dei costi delle opere pubbliche da un 55 a un 70 per cento del valore. La trattativa, però, gestita direttamente da Friedkin e Vitek, entrerà nel vivo solo dopo il closing con Parnasi.
Tutto questo, nell’ipotesi di proseguire con Tor di Valle. Le riflessioni contemplano anche la cancellazione dell’intero progetto per ricominciare da zero. In questo caso, la proprietà si orienterebbe solo per la costruzione di uno Stadio senza negozi né uffici rimanendo Tor di Valle un’area papabile. Delle altre che sono circolate – Flaminio, Tor Vergata, Fiumicino, Pietralata – l’unica certezza ad oggi è che i Friedkin hanno scartato per impraticabilità il Flaminio.
FONTE: Il Tempo – F. M. Magliaro