Tremilatrecentoquattordici giorni per dire addio a un progetto che ostinatamente la Roma aveva portato avanti quasi contro tutto e tutti. 3.314 giorni per certificare il fallimento di una città, della sua amministrazione, della sua imprenditoria, del suo tessuto sociale. Perché l’addio a Tor di Valle è un colpo non alla Roma, o almeno non solo, ma a tutta la città. Una decisione arrivata dopo mesi di approfondimenti e riflessioni, e dopo settimane di tentativi di mediazione.
Una decisione resa pubblica, come da prassi per i Friedkin, non con una intervista o una dichiarazione, ma con una ratifica del Cda giallorosso. «La proprietà della AS Roma intende investire, per essere competitiva, in una squadra vincente che possa giocare in un nuovo stadio moderno ed efficiente. Il Consiglio di Amministrazione – si legge nel comunicato del club -, sulla base degli approfondimenti condotti da advisor finanziari, notarili e legali di primario standing, nonché alla luce delle ultime comunicazioni di Roma Capitale, ha verificato che non sussistono più i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio da realizzarsi nell’area di Tor Di Valle, essendo quest’ultimo progetto divenuto di impossibile esecuzione».
Le parole che mettono fine al progetto voluto da James Pallotta e portato avanti da Mauro Baldissoni, attraverso tre consiliature, modifiche improvvise e sostanziali, guai giudiziari (dei soci, mai della Roma), ricorsi e quant’altro. Quello su cui però occorre concentrare l’attenzione, per mantenere la speranza che una nuova casa possa essere presto realizzata, sono le prime parole del comunicato della società, in cui si riafferma la volontà di dotare la squadra di un nuovo stadio, moderno ed efficiente. Uno stadio che sia il frutto di una progettazione post Covid, per capirci meglio.
La Roma infatti, come ancora scritto nel comunicato di ieri sera, «ha constatato che la pandemia ha radicalmente modificato lo scenario economico internazionale, comprese le prospettive finanziarie dell’attuale progetto stadio». Una decisione «presa nell’interesse della Società, che sarebbe stata la mera utilizzatrice dell’impianto». La sindaca della Capitale è stata immediatamente avvisata ed è stato immediatamente concordato un incontro per la prossima settimana tra i proprietari del club e la prima cittadina. Che pure non avrebbe nascosto il proprio disappunto, frutto anche probabilmente della ricaduta politica della rinuncia a Tor di Valle.
Immediata infatti la reazione del Campidoglio che in una nota ha voluto rassicurare i cittadini sulle opere pubbliche previste a corredo dello stadio. «Prendiamo atto della decisione presa autonomamente questa sera dal Cda dell’AS Roma – si legge -. Si tratta di una valutazione imprenditoriale. Rassicuriamo i cittadini che le opere pubbliche previste, come il potenziamento della ferrovia Roma-Lido e la realizzazione del Ponte dei Congressi, verranno portate avanti dall’Amministrazione capitolina».
Fatto in realtà che non corrisponde completamente al vero, se consideriamo che il potenziamento della Roma-Lido verrà realizzato dalla Regione con 180 milioni di euro già stanziati, ma senza i 45 che avrebbe messo la Roma. O che per il ponte dei Congressi si sia tutt’altro che vicini anche solo alla semplice approvazione. E le reazioni contro la Raggi non si sono fatte infatti attendere.
Primo fra tutti l’ex presidente giallorosso Pallotta, che su Twitter ha scritto: «Qualche cretino (sapete bene di chi parlo) ha rovinato questo grande progetto per tutti. Triste». O ancora l’ex sindaco Ignazio Marino: «Devo dire che la notizia mi rattrista moltissimo. Per la città di Roma, che deve rinunciare ad un progetto importante». E poi Giovanni Caudo, presidente del III Municipio ed ex assessore all’Urbanistica della giunta Marino: «È un esito prevedibile e atteso. Ci sono due modi per non fare le cose. Il primo è dire “no” e il secondo è fare finta di farle. Raggi ha scelto il secondo e l’esito non poteva che essere quello di oggi». (…)
FONTE: Il Romanista – A. De Angelis