Lacrime commosse, in fondo ad altre mai dimenticate: lacrime di dolore, solitudine, paura. Ebrima Darboe, gioiellino della Roma, debuttando in Europa League contro lo United, non ha afferrato un sogno cullato tra joystick e figurine, dentro scuole calcio dai prati verdissimi: il suo sogno è un viaggio lungo tre mesi, un bus che attraversa l’Africa e un barcone che sfida il Mediterraneo, cinquemila chilometri di sofferenza e speranza da un campetto di Bakoteh, in Gambia, fino all’Olimpico.
«Quel campetto era proprio di fronte casa, dietro la moschea. E il primo pallone era fatto di stoffe intrecciate. Magico, però: non lo lasciavo mai. E piangevo se mamma me lo toglieva» (…) Poi il viaggio per l’Italia: «Quando sento di chi non ce l’ha fatta, provo grande tristezza. Non augurerei a nessuno quell’esperienza». (…)
Il prato dello Young Rieti è la nuova culla del sogno, gli osservatori della Roma vengono chiamati ad assistere a una partita mista, ragazzi e ragazze, e capiscono che la dritta è giusta, lo convocano per un provino: «Dopo venti minuti di gioco Tarantino, allora responsabile del settore giovanile, mi chiede se mi piacesse la squadra. Rimasi meravigliato” (…)
Ebrima ha afferrato il sogno e giovedì sera è diventato un simbolo, la sua storia trasmette coraggio a migliaia di ragazzi in fuga dalla fame e dalla guerra: «Vorrei dir loro di avere fiducia e dare il massimo in tutto ciò che fanno. Ma soprattutto di continuare a credere nei sogni».
Restano, per lui e per quei ragazzi, altre sfide da vincere, altri viaggi duri da affrontare: «Qui a Roma non sono mai stato oggetto di insulti razzisti, ma non per questo penso che questo fenomeno vada sminuito. Solo facendo fronte comune si possono isolare le persone che ancora pensano che sia tollerabile». (…)
FONTE: La Stampa