Nel percorso di avvicinamento alla Juventus, la Roma fa un passo. Più che quello in classifica, drogato dal turno saltato dai bianconeri a causa della Supercoppa, conta il passo filosofico: vincente e bruttina non lo era da tempo questa Roma. Una debolezza che aveva scavato lenta il solco di 7 punti con la prima. Perché ogni volta che di brillare non le era riuscito, avevano sempre riso gli altri: Empoli o Cagliari che s’erano presi un punto, Torino o Atalanta la posta intera. Una specie di tara genetica con radici profonde, ereditata anno dopo anno da calciatori che cambiavano senza riuscire a cambiar spirito alla squadra.
Il 3-1 in rimonta col Chievo invece racconta qualcosa di nuovo, a cui l’Olimpico svuotato da freddo e feste (soltanto 25mila spettatori) non era abituato. E che vale persino più degli 86 punti in 39 partite utili a chiudere al secondo posto la classifica dell’anno solare. O dell’ennesima resurrezione di El Shaarawy, capace di trasformare le panchine colllezionate nell’ultimo mese e digerite a colpi di bronci, in carica elettrica. Quella rovesciata nella porta con un colpo che da queste parti evoca lo spettro di Pjanic, ancora di più a così pochi giorni dalla notte dello Stadium.
La classifica racconta una bugia: ossia che la Roma ha già recuperato alla Juve i tre punti che le aveva tolto sabato scorso: li riperderà a febbraio quando Allegri recupererà la gara col Crotone, sacrificata dalla Lega sull’altare dei quattrini di Doha. Ma almeno consentirà a Pallotta di continuare a dar retta a quelle vocine che a Trigoria suggeriscono di non cedere al Chelsea uno tra Manolas e Rüdiger, per inseguire un obiettivo più grande. Anche se i soldi di Abramovic farebbero comodo per comprare il centrocampista — Rincon — che Spalletti chiede disperatamente. Soprattutto, questo successo faticato rende la Roma un po’ più simile a chi la precede. A chi non ha bisogno di rubar l’occhio per prendersi di forza la partita: l’ha visto sulla propria pelle, come si fa. E ha trovato il modo di fare lo stesso nonostante inizialmente sembrasse quasi sentirsi orfana, senza i romani De Rossi, Florenzi e Totti, a smaltire l’influenza in panchina. Nonostante la smania di cancellare Torino, o di dare ragione a Spalletti che ha difeso la squadra prendendo a cannonate il resto del mondo che ne parla.
Tutto quel nervosismo che forse l’allenatore si porta dietro dalla notte dello Stadium si vede pure in campo: i suoi, ansiosi di meritarsi i complimenti che aveva subordinato al risultato col Chievo finiscono per esporsi. Trasformando una riserva di Maran, De Guzman, nell’incubo dell’Olimpico. Poi El Shaarawy decide di ricomparire sulla scena di un campionato che finora aveva vissuto da spettatore, celebrando pure la serata dell’Edin Dzeko più sprecone dell’anno.
Il Napoli, pur prendendosi la leadership dei gol fatti, resta lontano 3 punti. Mentre la tarantella del rinnovo di Spalletti (da lui stesso evocata) è un pensiero per chi dovrà lavorarci, ma non ancora per chi gioca. Basi su cui costruire il 2017: sapendo che forse adesso la Juve è un po’ meno lontana.