È rimasto seduto in panchina per gran parte della partita. Come se in cuor suo si aspettasse che sarebbe finita male anche stavolta. Siamo solo a inizio novembre e José Mourinho sta già alzando bandiera bianca. Una rosa che non lo accontenta minimamente, la Champions che si allontana, una squadra in crisi mentale e fisica, gli arbitri che sembrano fare a gara per rovinare le giornate dei romanisti. In un contesto del genere non aiuta a fine gara ascoltare la durissima analisi dell’allenatore, che dovrebbe prendersi la sua parte di colpe ma al momento non lo fa. Il portoghese prima abbandona la postazione delle interviste alle tv, spazientito dall’attesa, poi lo convincono a tornare e diventa un fiume in piena.
«Questa non è la stagione per attaccare in modo chiaro gli obiettivi in classifica, può essere un’annata di dolori, nel corpo e nell’anima, di sicuro non possiamo fare grandi cose ma è molto importante per me per capire qualcosa che non sapevo prima di arrivare. Come allenatore devo dare ambizione e motivazioni anche a me stesso. Non ho mai detto che eravamo da quarto posto, ma dirò fino a quando sarà matematicamente possibile che quello è l’obiettivo per cui lottare». Sentirlo a novembre fa effetto. Poi parte l’ennesimo attacco alla qualità della Roma.
«Le squadre si costruiscono su un modello di gioco, quando hai una rosa in cui non hai 2 giocatori con un potenziale simile in ogni posizione anche l’allenatore diventa reattivo e non proattivo. Karsdorp era infortunato e ammonito, ma i terzini in panchina erano Reynolds, che ha fatto 2-3 partite in Serie A, e Tripi che gioca nella Primavera. Non parliamo di Darmian o Dumfries, o Kjaer e Romagnoli, o Danilo e Cuadrado». Mourinho stavolta va anche oltre.
«Siamo arrivati sesti/- settimi ma rispetto all’anno scorso la rosa non è migliorata. Abbiamo perso giocatori di esperienza come Juan Jesus e Bruno Peres che sarebbero stati utili. Il mercato è stato reattivo, non è una critica alla mia società. Più di costruire una rosa in grado di fare certe cose, si è scelto di “pulire” e riparare a situazioni disperate, come quelle di Spinazzola e di Dzeko». Sugli arbitri non sa più che dire. Perché il rigore dato al Venezia non ha davvero senso.
«Va al di là della mia comprensione e mi fermo qui perché devo proteggermi. Magari un giorno capirò. Ci sono delle cose nascoste e che con gli anni poi comprendi. Il 2-2 è un enigma che si accumula a tutto quello che sta succedendo. Quel gol ha cambiato la partita, sembra impossibile non averla vinta 3 o 4 a 1. Abbiamo fatto comunque una grande gara, entusiasmante, con ritmo, intensità e gioco offensivo. Purtroppo sono qui a parlare, ma l’arbitro e il VAR no… Le regole di solito sono fatte da chi non ha giocato a calcio. Quando succedono certe cose settimana dopo settimana, è meglio stare zitti». Mai come stavolta la pausa può servire a ragionare. Su tutti i fronti.
FONTE: Il Tempo – A. Austini