“Avevo sperato che sia l’Italia che il Portogallo andassero ai Mondiali…”. Invece, Paulo Fonseca, allenatore portoghese fino a giugno alla Roma, dovrà scegliere.
Fonseca, che Portogallo sarà? “Difficile dirlo. Fernando Santos ha fatto un grande lavoro, tutti noi gli siamo grati per aver vinto Euro 2016. Ma il Portogallo in alcuni momenti non è stato squadra, non ha lottato unito. Quello che ci è mancato è il collettivo, ciò che ha fatto dell’Italia la squadra più forte d’Europa”.
Pensa davvero che sia stata la più forte, all’Europeo? “Nettamente. Quello che ho visto lavorando in Italia è la mentalità dei calciatori italiani. È quella con cui ha vinto l’Europeo: si vedeva dalle qualificazioni, ai miei amici avevo detto che l’Italia era tra le favorite. E dalle primissime partite ero convinto che avrebbe vinto”.
Crede che la mentalità conti più della qualità? “L’Italia ha anche un livello tecnico molto elevato. Prendete Barella: lo avrei voluto alla Roma, ci ho anche parlato un paio di volte al telefono, per provare a convincerlo. Mancini ha saputo costruire su questa qualità un grande collettivo, una cosa che non riesce facilmente, altre hanno grandi talenti ma non sono squadra”.
A proposito di talenti: il Portogallo dipende da Ronaldo? “Non possiamo dimenticare che Cristiano ha 36 anni. È il miglior marcatore della storia, ha fatto crescere i giovani con cui ha giocato. Ma oggi il Portogallo non è solo Ronaldo: lui è un grandissimo finalizzatore, ma non ha più la stessa esplosività, la stessa forza nell’uno contro uno. È grande, ma ora c’è una generazione di giocatori forti, che giocano nei migliori club d’Europa”.
Lei allenerebbe una nazionale? “Voglio abbracciare un progetto, una squadra che creda nelle mie idee. Sono libero, ma non per questo devo accettare qualunque offerta, anzi. Si è parlato di alcune squadre, alcune erano vere, altre solo voci. A freddo mi piace più l’idea di un club, ma se il progetto è serio, non escludo nulla”.
Parla di progetto: gli allenatori incidono ancora sul mercato? “Stiamo perdendo influenza nella scelta dei giocatori. Ovviamente ci sono club più aperti a assecondare, ma ne conosco molti in cui sono solo le società a decidere, spesso per motivi non tecnici”.
Che idea ha della Serie A? “È al livello di Premier o Liga. In Inghilterra il ritmo è più alto, ma non è questione fisica: lì le partite sono più aperte e si corre di più. Quello italiano non è un campionato difensivo, ma è quello in cui si difende meglio. Ogni partita è diversa, ti obbliga a lavorare moltissimo sulla strategia”.
Chi sono gli allenatori che l’hanno colpita di più? “Guardiola è un’ispirazione, mi piace molto anche Tuchel. In Italia ho sempre ammirato Sarri, oltre a Gasperini, incredibilmente bravo ma molto diverso da me, e Italiano, ma chi mi ha colpito di più è De Zerbi: avrebbe meritato più attenzione dalle squadre italiane”.
Lei alla Roma si è sentito solo? “Prima Petrachi e poi Pinto sono stati miei alleati. Ma ho vissuto il momento forse più difficile degli ultimi 15 anni della Roma, con la transizione societaria e sì, ero solo”.
E di Roma cosa le resta? “A mia figlia, che mi ha intervistato per la scuola, ho detto che è il posto più bello del mondo. Amavo girarla a piedi, vivere vicino al centro, vederne ogni angolo, respirarne l’atmosfera”.
A Roma la prima cosa che si dice di lei è che è elegante. “È vero, mi piace essere elegante, mi piace la moda, soprattutto quella italiana, e le scarpe di classe”.
Mettendo la classe da parte: Italia-Portogallo, per chi tiferebbe? “All’Italia sono legatissimo. Ma io sono portoghe”
FONTE: La Repubblica – M. Pinci