Essere Nicolò Zaniolo, a 22 anni, oggi, in una città che stravede per lui, in una squadra che ha bisogno di lui, alle dipendenze di un allenatore, per niente qualunque, che si aspetta molto da lui. La grande occasione di imparare a conoscersi. Lo dicono i fatti e lo dicono i numeri: il Nicolò di oggi è un ibrido di timore e di furore.
Prigioniero del fantasma del peggio che è stato, smanioso di liberarsene. Nessuno in Serie A tira in porta quanto lui, nessuno lo fa con meno profitto. L’insieme delle due cose racconta un ragazzo non più smarrito, ma certo confuso, in costante difetto di lucidità. Le sue prestazioni sono un pendolo tra cavalcate quasi irreali per quanto superomistiche (quella del derby, lo stesso Napoli, con lo Zorya in Europa League, lo stesso Torino) e altre in cui tutto quello che appare è la sua fragilità nervosa.
Nicolò, oggi, nel suo processo di crescita, deve apprendere il piacere criminalmente bello della lucidità. È questa la differenza che fa il fuoriclasse. E far coincidere questo piacere con l’altro sublime di giocare con e per la squadra. Francesco Totti, all’apice della sua storia, ha sempre giocato con e per la Roma. Non doveva elaborare troppi pensieri. Gli capitava naturale. Il fuoriclasse non ha scelta, sa quello che vuole e sa quello che deve.
Domani a Bergamo sarà un’altra importante occasione di conoscenza per Zaniolo, l’Atalanta è una squadra che si può battere solo con una prova di lucidità estrema. Zaniolo è in viaggio. Un viaggio di cui il Qatar è solo l’eventuale conseguenza.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto