In questo giorno di festa giallorossa, in cui tutto sembra cannibalizzato dalla figura di José Mourinho, ci piace ricordare, il “lato oscuro” di un progetto nato il 6 agosto 2020, quando la famiglia Friedkin ha acquistato la Roma. Certo, l’arrivo dello Special One ha permesso ai media di tutto il mondo di focalizzarsi su Trigoria, ma il lavoro che era stato avviato – e che è proseguito in parallelo alle idee dell’allenatore portoghese – ha messo le basi a quel sogno chiamato Conference League.
Sul fronte del denaro, si sa che il “Friedkin Group” – che ieri si è complimentato pubblicamente con squadra e staff via social (dopo che il presidente Dan lo aveva fatto in forma diretta) – ha investito finora 548,8 milioni.
Non ci soffermiamo neppure sull’impulso dato nell’ultimo anno e mezzo a “Roma Cares” e alle iniziative benefiche che hanno contribuito a riavvicinare la città al club, così come la avveduta politica dei biglietti, che stanno portando a un “tutto esaurito” dopo l’altro. Se lo Special One è riuscito a tornare a brillare è stato anche perché la rosa che ha avuto a disposizione non è stata poi così modesta come a un certo si ventilava a metà stagione.
Pensateci, se i Friedkin hanno dovuto imparare a conoscere Roma in circa diciassette mesi, Tiago Pinto che ha avuto a disposizione addirittura cinque di meno, lavorando in un ambiente come quello del mercato in cui, all’inizio, da alcuni addetti ai lavori era considerato un intruso.
Tutto questo, avendo a disposizione un portafoglio non certo illimitato e l’indicazione vincolante di ridurre le spese per le commissioni al dieci per cento. Eppure la rosa costruita non sta deludendo, anche se alcuni – da Vina a Shomurodov – forse avranno bisogno di più tempo per emergere, mentre certe scommesse non riuscite (Maitland–Niles) potranno essere rimandate alla base senza problemi. Impressioni? Il futuro della Roma è giù cominciato. E non solo nel segno di Mourinho.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini
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