Avrebbe compiuto 94 anni il prossimo 1 luglio, se n’è andato la scorsa notte. Lui era Pietro Benedetti, portiere della Roma in sette partite ufficiali nella stagione 1949/1950, una storia che merita di essere raccontata.
Scoprì di essere stato preso dalla Roma leggendolo sul giornale. Senza averlo comprato in edicola, però. Mentre passeggiava, il suo occhio cadde su un foglio stracciato che era rimasto per terra. C’era scritto che la Roma, dopo averlo visto giocare con l’Albatrastevere, lo aveva acquistato. Si presentò di corsa in sede, per il sollievo dei dirigenti che non sapevano più come rintracciarlo.
“Andai nella sede della Roma e l’usciere mi chiese. ‘Chi sei?’ ‘Sono Pietro Benedetti’. In quel momento passava Giovanni Degni, che era l’allenatore della prima squadra, che aveva sentito tutto e mi fece: ahò, ma dove stavi? Da mo che te stamo a cercà”
“Giocavo centravanti nella ‘Giovanissima’, squadra diretta da Osvaldo Bruni. Quando arrivai mi diedero un paio di scarpini assortiti con un numero 39 e un 42. Finiva che quando giocavo mi davo i calci da solo. Allora gli dissi: ‘A Osvà, io me metto in porta, non gliela faccio più’. Si vede che era destino, perché da ragazzino quando mi buttavo nel Fontanone del Gianicolo, mi dicevano: ‘Ahò, lo sai che saresti un bel portiere?’ E infatti”
Il suo momento arriva il 9 ottobre 1949, a gettarlo nella mischia è Fulvio Bernardini e la Roma batte il Bologna 3-1. Totalizzerà altre sei presenze, per uno “score” di tre vittorie, due pareggi e due sconfitte. Nel corso della sua ultima partita fu costretto a lasciare il campo dopo uno scontro di gioco con l’attaccante della Lucchese Mazza, che lo colpì alla testa. La Roma, che stava vincendo, finì col pareggiare la partita, chiusa con Andreoli in porta. Gli era successa la stessa cosa la domenica precedente, protagonista Soerensen, dell’Atalanta, ed era stato portato addirittura in ospedale.
Non fu semplice riprendersi. Pur rimanendo in rosa anche nella stagione successiva, non giocò più partite ufficiali e nel 1952 si trasferì al Grosseto, dove si distinse anche come rigorista.
Portiere coraggioso, dall’animo sensibile e profondamente romanista, pochi giorni dopo il suo esordio ricevette una lettera da un orfanotrofio di Vibo Valentia. Arrivava da un bambino che aveva perso i genitori in guerra e che aveva letto sul Corriere dello Sport del suo esordio, in cui aveva sorpreso tutti con le sue parate.
“Il mio grande sogno è ricevere una maglia della Roma”, scrisse il piccolo orfano, che aveva fondato una squadra per il torneo dell’istituto e l’aveva chiamata “Pietro Benedetti”. Lui riuscì a spedirgliene addirittura due, in tempi in cui era complicato per i giocatori tenerne anche solo una.
La sua miglior prestazione probabilmente fu in un Triestina-Roma finito 2-2, in cui si distinse “parando durante gli ultimi trenta minuti di gioco non meno di una ventina di palloni più o meno difficili”, scrisse Il Calcio Illustrato.
“A Trieste feci una parata con una mano sola. Ho anche la foto. Il tiro me lo fece Ispiro”
Quando gli fu chiesto del momento più bello vissuto con la Roma, però, non indicò quella partita. Non indicò nessuna partita, ma il momento in cui gli fu offerto il posto allo stadio in quanto ex calciatore.
“Dopo sessant’anni, la Roma si era ricordata di me”
FONTE: asroma.com