Nella Roma è cresciuto, ma all’Udinese è diventato un calciatore di Serie A. La carriera di Francesco Statuto è stata un’altalena: a volte verso l’alto, a volte verso il basso. Una serie di sliding doors che avrebbero potuto consegnarli una ribalta più alta, ma tant’è. “Potevo fare qualcosa di più, però non mi lamento di quello che ho avuto”, dice a distanza di anni l’ex centrocampista giallorosso tra il 1994 e il 1997 con 85 presenze e 3 gol. Quando era giovanissimo Nils Liedholm lo chiamava “Stantuffo”. Oggi è allenatore e osservatore per la federazione italiana dilettanti.
Quali sono le caratteristiche dell’attuale incarico? “Il mio compito è principalmente quello di scovare e preparare nuovi talenti sui campi di provincia”.
Ma è una ricerca a carattere regionale o nazionale? “Nazionale. Non è facile, infatti, abbracciare l’intero bacino italiano. Ci sono una miriade di campi e di squadre di dilettanti nel nostro paese, circa tredicimila, ma è comunque un bel lavoro”.
Per lei andare in provincia è come fare un salto nel passato. Nel ’90, dopo il settore giovanile giallorosso, giocò nella Casertana in Serie B e C. … “Ricordo bene quei due anni a Caserta. Fu un cambiamento radicale. All’epoca funzionava così per le società: i giovani dovevano andare in categorie minori a farsi le ossa. Ma nel vero senso della parola. Passai dalla realtà di Trigoria, dove eravamo coccolati in un contesto familiare, a quella della Casertana dove c’erano difficoltà societarie e la piazza era particolarmente calda. Un’esperienza che mi forgiò a livello caratteriale. Così come quella successiva di Cosenza”.
Il suo allenatore a Caserta fu Adriano Lombardi, che poi morì una quindicina di anni dopo per la SLA. … “Mi dispiace che abbia fatto quella fine. Per me fu un fratello maggiore, mi aiutò tanto soprattutto nel primo periodo di Caserta. Posso solo che ringraziarlo”.
Poi nel 1993 il primo anno in Serie A, a Udine… “Un’annata importantissima, fondamentale per la mia carriera. Retrocedemmo, però trovai spazio da titolare in una squadra di Serie A. Per me fu fondamentale perché l’anno dopo ebbi la possibilità di tornare a Roma. La realtà dell’Udinese è veramente un fiore all’occhiello per il calcio italiano. È il posto ideale per un giovane italiano o straniere per crescere”.
Il ritorno alla Roma in prima squadra iniziò nel migliore dei modi… “Sì, fu Mazzone a rivolermi e trovò subito un posto per me tra i titolari del centrocampo. Peccato che poi arrivò un infortunio…”.
Frattura del perone… “Restai fuori cinque mesi. Tanti. Con la medicina di oggi non sarei stato fuori tanto a lungo. È anche vero che a fine stagione fui convocato in Nazionale da Sacchi e fu una bella soddisfazione”.
Con Zeman il suo destino in giallorosso cambiò… “Sì, era il 1997. Dopo la stagione con Carlos Bianchi, il tecnico Zeman volle cambiare tante cose e alcuni fedeli dell’allenatore precedente furono mandati via. E io tornai all’Udinese, con Zaccheroni in panchina”.
Dove, però, giocò meno… “Sì, ci misi un po’ per recuperare la forma migliore. Ma fu una stagione importante per la squadra, arrivammo terzi dietro a Juventus e Inter, con grandi giocatori in rosa come Bierhoff e Marcio Amoroso”.
Tra il 1999 e il 2002 a Piacenza, ancora tra Serie A e B… “Un periodo dove capii che avrei potuto fare di più nel calcio, ma ormai avevo 28-29 anni e la carriera l’avevo già fatta. D’altronde quando giochi a Roma, per la Roma, non è facile emergere. Sei distratto da troppe cose…”.
Spieghi meglio… “La città è grande, l’ambiente esigente, se non sei consigliato da qualcuno rischi di perderti. Ai miei tempi era facile che questo accadesse, i calciatori non erano protetti e salvaguardati come oggi”.
Eppure Totti e De Rossi hanno legato la loro vita calcistica alla Roma… “Infatti sono casi particolari e unici per il calcio. Se ci fosse stato uno come Spalletti anche allora, sarebbe stato diverso…”.
Le piace il tecnico toscano? “Sa attirare su di sé tutte le attenzioni, come fa Mourinho. Ha ottenuto grandi risultati in questa piazza, sapendo gestire le tensioni e le polemiche. È un grande allenatore”.
C’è una vecchia copertina della rivista “La Roma” in cui lei posa insieme a Totti con il titolo: “Totti e Statuto i gioielli made in Roma”… “Non conoscevo Francesco prima del mio ritorno a Roma nel ‘94. Ne avevo solo sentito parlare come un ragazzo davvero promettente. Dopo i primi due/tre allenamenti capii che eravamo di fronte a un talento davvero particolare. Fa piacere che sia entrato nella storia del calcio italiano e non solo”.
È rimasto legato ai colori giallorossi? “Sono un tifoso riconoscente della Roma, visto che parte della mia vita la devo proprio a questa società”.