In fondo il romanista ha imparato a riderci su. Drammaticamente abituato alla sconfitta più che alla vittoria, Conference League a parte, il popolo giallorosso viene da un decennio abbondante di delusioni. Amarezze combattute stringendosi forte al fratello di sventure. Di solito il vicino di seggiolino, diventato amico “anche se non ci conosciamo”.
Amarezze diventate sopportabili abbracciando la via dell’autocommiserazione. Calare Cristiano Ronaldo in questo contesto? Per il vero romanista una croce da portare fischiettando. Nell’agenda del tifoso giallorosso, disilluso ma finalmente sorridente grazie a Mourinho, chissà perché era segnata la data del 29 giugno.
Il giorno dei Santissimi Pietro e Paolo. Il giorno dello sbarco (mancato) nell’Urbe di San CR7. Cristiano che di sacro ha destro, sinistro, stacco e colpo di testa. Cristiano che, pure se il romanista non lo dirà mai, è riuscito a profanare l’apparente inscalfibilità di un’intera tifoseria. Però che peccato. Perché l’attesa, vana salvo effetti speciali, negli ultimi giorni era salita alle stelle. Roba da psicosi.
Messaggi WhatsApp su presunte firme segrete a Maiorca, raccontate a un ancora più presunto Carlo. Inviti all’Olimpico: “Certo, se vedemo lì“. Che “non succede, ma se succede“. Alla fine non è successo. Ma stavolta il tifoso è corazzato.
FONTE: La Repubblica – L. D’Albergo