Nemanja Matic ha parlato al quotidiano. Il centrocampista della Roma si è soffermato su diversi temi, da José Mourinho – che ha ritrovato per la terza volta in carriera – fino ad arrivare a Paulo Dybala.
Cosa può regalare alla Roma? “È un ragazzo che porterà quella qualità extra che sarà necessaria per ottenere dei risultati in futuro. Ho giocato contro di lui e so quanto può essere pericoloso. È il profilo giusto per noi”.
Non ha avuto remore a lasciargli la maglia numero 21? “No, figuriamoci. Me lo aveva già accennato la società. Poi quando è arrivato qui me lo ha chiesto lui e gli ho detto che non c’erano problemi. La maglia numero 8 è quasi un inedito per me: l’ho presa una volta soltanto in nazionale”.
Lei ha giocato con tantissimi campioni. Dybala le ricorda qualcuno in particolare? “Paulo è un trequartista vecchia maniera che può giocare anche da seconda punta. Un profilo che nel calcio moderno figura sempre meno. Se devo proprio fare un nome, dico Mata al massimo dello splendore. Per intenderci quello che vinse da protagonista il Mondiale e l’Europeo con la Spagna. Sono quei calciatori che riempiono gli stadi e con un tocco risolvono la partita”.
Matic invece cosa può regalare alla Roma? “Con la mia esperienza posso portare stabilità in campo e aiutare i giovani e il gruppo a migliorare”.
Quale deve essere l’obiettivo stagionale? “Difficile dirlo oggi dove saremo a maggio. Pensiamo ad una partita alla volta, quindi alla Salernitana, senza proclami. Poi vedremo”.
Lo sa che ascoltandola sembra di sentire parlare Mourinho? “Non per nulla sono il centrocampista che dopo Lampard ha giocato più gare con lui (ride). Allora integro la risposta… È evidente che dentro di noi vogliamo vincere qualcosa. Ma è inutile dirlo a luglio, tutto qui”.
A proposito di José, ha impiegato più o meno di 5 minuti a convincerla a venire a Roma? “Meno. Quando ho deciso di lasciare lo United, ho ricevuto la sua chiamata. E ho detto subito di sì”.
Le ha chiesto, oltre di raggiungerlo, di diventare il playmaker della squadra? “La posizione in cui posso rendere al meglio José la conosce bene. Giocare in una linea a cinque o a quattro non cambia molto. Il ruolo rimane sempre quello di proteggere la difesa e organizzare la costruzione in quella zona di campo”.
Cosa ha di speciale, di magico questo allenatore al quale basta alzare il telefono e convincere lei, Dybala, Abraham ma in passato anche gente del calibro di Eto’o e Sneijder? “Ha semplicemente qualcosa in più. Mou ti motiva, ti sprona perché è lui il primo ad avere fame di vittorie. Penso di conoscerlo abbastanza bene e posso assicurare di non averlo mai visto soddisfatto. O meglio, lo può essere dopo un match vinto, dopo un trofeo conquistato ma 5 minuti dopo è lì che già pensa al domani. E questo suo modo di essere ti affascina. Così per ogni calciatore diventa un privilegio essere allenati da lui. Se poi si aggiunge che ovunque va, ottiene risultati, si capisce perché ogni giocatore ambisce a giocare nelle sue squadre”.
Lei ha una storia speciale. Da calciatore e da uomo. Le va di raccontare quando nel 2016 aiutò il suo paese natale, Vrelo, pagando tutti i debiti che i cittadini avevano nei confronti di alcuni negozi e supermercati della zona? “Non amo parlare molto di questi aspetti. Le cose si fanno senza reclamizzarle. Siccome ormai è uscito fuori, posso dire che è stato un gesto naturale. Ho cercato e cerco anche oggi di aiutare le persone dell’area nella quale sono nato. Sono cresciuto in una zona povera dove non c’erano campi da calcio, da ragazzini avevamo soltanto un pallone. E adesso cerco di fare in modo che i bambini di Vrelo possano avere un’infanzia migliore di quella che ho avuto io”.
Un calciatore con le sue caratteristiche fisiche (194 centimetri) e tecniche, non segna troppo poco? “È vero, potrei e dovrei segnare di più. Dipende però dal fatto che servo per coprire la difesa e per organizzare la manovra da dietro. Mi auguro che con Mourinho possa diventare più prolifico”.
In questa prime settimane di Roma, c’è un giocatore che ha catturato la sua attenzione? “Preferisco soffermarmi sui ragazzi. Sì, ce ne sono un paio. Uno è Volpato. Si vede subito che ha qualcosa di diverso nelle gambe. Ha grande potenziale. E poi ce n’è un altro. Sono combattuto se fare il nome perché è un ragazzino di 16 anni e meno se ne parla meglio è. Tanto ormai si sarà capito, mi riferisco a Ivkovic. Ma lasciatelo stare, deve crescere”.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina
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