L’anno più importante nella storia (contemporanea) della Roma è iniziato il 25 maggio a Tirana con un trofeo — la neonata Conference League — che all’epoca suscitò qualche ironia, ma i cui effetti oggi non fanno più sorridere alcun avversario. A quella coppa, alzata al cielo con indubbia enfasi, la Roma ha dato seguito con un mercato molto ambizioso, assecondando i desideri e forse anche le condizioni dell’allenatore.
Sotto l’ombrello della famiglia Friedkin, la più solida delle proprietà straniere identificabili in persone e non in fondi, José Mourinho si è infatti ricostruito l’immagine deturpata dalle ultime esperienze in Premier, chiuse con tre esoneri consecutivi. Appena ha vinto, rispedendo a vari mittenti i sospetti di senescenza tecnica, José ha subito reclamato un’accelerazione del piano triennale di crescita competitiva del club.
L’ingaggio del più fedele dei suoi pretoriani, Matic, è stato un primo segnale di attenzione. La chiusura dell’operazione-Dybala ha comprato un posto al tavolo grande. Aggiungendo pure Wijnaldum, la Roma ha chiamato banco: è lì per giocare pesante, e possiede sia le carte che le fiches necessarie.
L’aspetta una mano terribilmente delicata, perché non porti a casa certi giocatori soltanto per piazzarti. Il giudizio generale è che il traguardo della Roma sia il quarto posto, ovvero la zona Champions. A noi sembra limitativo, o meglio: la Champions è proprio l’obiettivo minimo, non arrivarci sarebbe un fallimento. La Roma ha le potenzialità per lottare per lo scudetto, che non vuol dire doverlo vincere ma restare in corsa per almeno tre quarti di campionato.
FONTE: La Repubblica – P. Condò