A tifare Roma. Ma la domanda che sorge spontanea ogni qualvolta le certezze vengono meno è: dove sarà la Roma? Un dubbio, atroce, che troppo spesso nella Capitale abbiamo avuto. Avoja te a dire che non dobbiamo essere “mainagioisti”, che non dobbiamo essere scaramantici, che dobbiamo essere razionali perché la squadra è forte e ha qualità, che l’allenatore è il numero uno. Sì, lo sanno tutti. Lo sapevano i 3.000 e passa di Udine, 650 km a nord del Tevere, di domenica quasi notte e lo sapranno anche i 3.000 (almeno) di Empoli, un “tantinello più vicina, ma di giorno feriale e terza di tre trasferte (stima e rispetto per i 600 di Razgrad) che sulla carta – razionalmente, appunto – non presentavano ostacoli insormontabili.
Avoja te. Diciamolo ai settantenni che ancora vanno nel settore ospiti e guai a chi glielo tocca, diciamolo ai bambini che iniziano adesso ad andarci e che sì, comincia la scuola, ma già «in mente ho solo te». Diciamolo a chi sostiene la As Roma con le braccia in su, da Trieste in giù. José Mourinho ha contribuito in maniera determinante nella scorsa stagione a riportare un trofeo a Roma dopo quattordici anni e un trofeo europeo in Italia dopo dodici anni.
Ha sempre fatto appello all’empatia e questa da chi strilla per la sua squadra non è mai mancata. Non c’è approccio alla partita che tenga, non c’è risultato che tenga. Qui si canta e basta, anche sullo zero a quattro. Non solo perché adesso Mourinho e la sua squadra hanno credito per quanto si è fatto fino a maggio. Anzi, fino a domenica 4 settembre alle 20.44, quando si parlava di una Roma che poteva rimanere prima. Prima, eh. Non tutto è perduto, per niente. Prima, seconda o terza in Serie A, di rimonta o in rincorsa nel girone di Europa League.
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FONTE: Il Romanista – G. Fasan
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