Un divorzio consensuale, ma anche un cattivo affare, quello che coinvolge Nicolò Zaniolo e la Roma. Anzitutto perché i venticinque milioni, che ragionevolmente la società giallorossa può ricavare da una cessione, sono poco più che uno spruzzo nell’oceano del deficit stagionale, pari a 219 milioni. In secondo luogo perché la rottamazione coincide con il fallimento di una strategia sportiva per il club e per il Paese.
Non ha dimostrato una maturazione caratteriale, prima che sportiva, e ha reagito alle critiche arroccandosi spesso in un autoisolamento egocentrico. Però non si può ignorare che il giovane talento è passato per la cruna strettissima di due infortuni gravi in un tempo brevissimo, e forse non gli è stato accordato un adeguato diritto alla convalescenza.
Al termine della scorsa stagione, conclusasi per la Roma con la vittoria della Conference grazie a una magia del fantasista, quel giorno in campo a Tirana nonostante la frattura composta a un piede, nessun impegno è stato assunto dal club per il prolungamento del contratto. In qualunque altro contesto, e in un clima di reciproca fiducia, un talento protagonista di un’impresa così importante, tanto da salvare una stagione altrimenti mediocre, avrebbe ricevuto un’offerta.
L’atteggiamento della società è stato invece quello di verificare quale mercato Zaniolo avesse, sicché la sua permanenza a Roma è oggi l’esito della mancanza di trattative estive. Il che era quasi scontato. Questa scelta oggi la paga soprattutto la dirigenza giallorossa, perché la poca fiducia che ha avuto nei confronti del ragazzo le torna indietro nella riluttanza dei potenziali acquirenti a prenderlo.
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. Barbano
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