L’ennesimo pugno duro nei confronti di José Mourinho fa infunare la Roma e i suoi tifosi. La sentenza del tribunale federale nazionale sul caso Chiffi è stata ancora più pesante del previsto: dieci giorni di squalifica inflitti allo Special One a partire dal 19 o dal 20 agosto – che significano due turni di stop nel prossimo campionato, dal giorno in cui comincerà – più cinquantamila euro di multa al tecnico e pure alla Roma.
Una somma che molti ritengono sproporzionata se paragonata a quelle relative al patteggiamento dei dirigenti della Juventus per le manovre stipendi, le partnership sospette e i rapporti con gli agenti, con lo stesso tribunale che in quel caso accettò di comminare 47mila euro di ammenda a Paratici, 35mila a Nedved, 32mila a Cherubini ecc. Aspettando le motivazioni della sentenza, l’ennesimo stop al tecnico portoghese fa crescere nel mondo giallorosso la sensazione di essere nel mirino, in Europa e pure in Italia.
Dieci giorni sono la pena per le frasi pronunciate il 3 maggio a Monza. Una decisione che va oltre il campo: lo Special One non potrà infatti rappresentare la società, né partecipare a conferenze stampa o attività federali a causa dei “giudizi lesivi dell’arbitro Chiffi e del movimento arbitrale”, come li ha chiamati la procura della Figc. Mourinho non è stato espulso. Anzi: ha preso la via degli spogliatoi poco prima del fischio finale, dopo il rosso a Celik, per non aggravare la propria posizione. Lo ha detto chiaramente: “l’arbitro doveva dare un rosso e va a casa frustrato perché non lo ha dato a me!”.
E così la palla è passata automaticamente dal giudice sportivo all’organo giudicante di primo grado della Federcalcio. Il tribunale, presieduto da Carlo Sica, si è riunito ieri in seguito a una richiesta di patteggiamento respinta per questioni di cifre e soprattutto per le mancate scuse di Mourinho. Una trattativa c’è stata, ma José avrebbe rifiutato di esporsi alla gogna pubblica ritenendo di non aver mai insultato Chiffi sul piano personale.
A causa delle violazioni degli articoli 4.1 (“dealtà, probità e correttezza”) e 23 del codice di giustizia sportiva (“divieto di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione”), in aggiunta al 37 del regola mento del settore tecnico (“gli allenatori devono essere esempio di ° disciplina e correttezza e ispirare la loro condotta ai principio della deontologia”), la procura guidata da Giuseppe Chiné aveva chiesto, durante la requisitoria in un’udienza durata un’ora, di fermare Mou per una giornata in aggiunta a due multe, 50 mila euro per lui e altri 50 mila alla società per responsabilità oggettiva. Il tribunale è andato oltre, di fatto raddoppiando la squalifica.
Nelle motivazioni, attese entro pochi giorni, ci sarà scritto che Mou è stato condannato per aver ritenuto Chiff “il peggior arbitro incontrato in vita mia”, ma soprattutto per aver sostenuto di essere andato in panchina con un microfono “per proteggermi”, aggiungendo che la Roma “non ha la forza per dire “questo arbitro non lo vogliamo”. Ci sono squadre che dicono “questo arbitro non lo vogliamo”, lo sappiamo tutti“. Un conto e sostenere che le pressioni dei club vengano assecondate dai vertici del calcio, un altro è sostenere che vi siano delle lamentele delle società sulle designazioni. Su questa differenza si giocherà gran parte della difesa in un eventuale ricorso in Appello (servono prima le motivazioni).
E adesso i tifosi chiedono al club di sostenere pubblicamente l’allenatore. Perché dopo le quattro giornate comminate dall’Uefa, le altre due imposte dal tribunale federale “gridano vendetta”, come scrivono i romanisti sui social. Serve la voce del presidente o comunque di un dirigente che possa difendere Mou. Come ha, di fatto, chiesto lo Special One dopo la finale di Budapest: “Sono stanco di essere allenatore, uomo di comunicazione, il volto che dice che siamo stati derubati. Sono un pochino stanco di essere tanto”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – J. Aliprandi