Ci sono i momenti di rabbia, la protesta per una decisione dell’arbitro che sembra sbagliata (e magari lo è), la parola di troppo pronunciata in un momento di tensione. Situazioni che in un mondo ideale hon dovrebbero esistere, ma che si spengono in fretta e non sfociano in niente di più grave. E poi c’è qualcosa di diverso, qualcosa che somiglia a una strategia: comunque vada io – o chi per me – do continui segnali di insoddisfazione, alimento la contestazione, mi scaglio contro il direttore di gara.
Gli allenatori vivono avendo addosso forti pressioni: in ogni partita si giocano un pezzo di futuro, dopo una sconfitta vengono messi in discussione. Non sono vittime di alcunché, ci mancherebbe, anche questo fa parte del ruolo. Se superano i limiti imposti dalle regole, è giusto che paghino, ovviamente. Non è lo stesso, però, quando si ha la sensazione che le proteste non nascano da un momento di rabbia, ma da una scelta strategica. Una scelta che non riguarda solo l’allenatore bensì l’intero gruppo di lavoro.
Gravina, Pacifici e Rocchi ieri è stato chiesto dell’esistenza di un caso Roma o – se volete – di un caso Mourinho. Inevitabile. Perché le situazioni che – abbiamo appena descritto si verificano con frequenza con i giallorossi, i quali tra Italia e Europa, nelle due stagioni con José, hanno rimediato addirittura 22 cartellini rossi per i componenti della panchina. Cifre che non possono passare inosservate.
Mou è un maestro nel comunicare e nel creare empatia coni propri sostenitori. Cosa c’è di più facile, per scaldare la passione dei tifosi, che farli sentire vittime di continui soprusi? E come sottolineare le ingiustizie, vere e presunte, se non protestando a ogni piè sospinto? È l’anno zero della tolleranza zero nei confronti degli allenatori. Non è una linea decisa per andare contro Mourinho e la sua panchina, anche perché i giallorossi non sono certamente gli unici indisciplinati.
FONTE: La Gazzetta dello Sport